63 || Non può essere vero

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Hannah's P.O.V

«Sai ieri ho cucinato da sola il pranzo, non c'era nessuno a casa e non ho dato fuoco alla cucina» risi fra me e me, continuando ad accarezzare il dorso della sua mano gelida, mentre la tenevo stretta nella mia e l'infermiera che gli aveva appena cambiato la flebo mi aveva lasciata sola con lui.

Il suo viso era rilassato, ogni suo muscolo lo era, la pelle era più candida e più bianca del normale ma pareva stesse solo dormendo, non che fossero settimane che non apriva gli occhi.

«Ho fatto una specie di purè di patate» continuai a parlare osservando il suo bel viso «però era un po' salato» ammisi immaginando un sorriso storto sul suo volto, visto che sapeva del mio pessimo prestamento in cucina. Per quanto scherzando lo negassi, dovevo ammettere che non ero affatto brava ai fornelli.

Ma immaginai ugualmente come sarebbe stato se fossimo andati a vivere in quella casa un giorno...io che gli preparavo una cena per fargli una sorpresa e lui che fingeva di mangiarla con gusto, solo per non farmici restare male. Ma alla fine avremmo riso insieme della mia pessima infornata e magari ci saremmo scambiati qualche bacio mentre insieme lavavamo i piatti sporchi.

Ma qualcuno interruppe i miei pensieri, bussando contro la superficie della porta senza usare troppa forza e mi voltai di poco, vedendo una testa bionda far capolino prima di entrare. Gli feci cenno di farsi avanti e senza esitare camminò fin dalla parte opposta del letto, dove prese posto sulla sedia adagiata lì, nella quale in genere sedeva la madre del mio ragazzo.

Lo vidi soffermarsi a guardare Noah afflitto, per poi alzare gli occhi azzurri e osservare me «non ha dato alcun segno?» chiese con un tono di voce fievole e incerto. Fu più forte di me evitare di reagire male a quella domanda, infatti sentii il fiato mozzarmisi e improvvisamente, gli occhi colmarsi di lacrime quando scossi la testa e capì da solo la risposta.

«Non piangere ti prego» mi implorò sentendosi probabilmente in colpa, ma non ne aveva...ero io a non reggere tutta quella situazione e distolsi lo sguardo.

«Come posso non piangere Mason?» domandai ormai singhiozzando, con ancora la mano gelida del mio ragazzo stretta nella mia, ma con più forza, come se avessi paura di poterlo perdere da un momento all'altro. Come se mi sentissi in dovere di tenerlo stretto a me, per non lasciarlo andare. Poi esasperata continuai «il mio fidanzato, il tuo migliore amico, è qui per colpa mia! Solo perché per assurdo ha deciso di proteggermi a tale prezzo, tutti mi dite di non piangere, ma come posso non farlo!?» ero a pezzi, più ci provavo, più non riuscivo a darmi pace in alcun modo. Odiavo quell'uomo, il mostro che non aveva fatto altro che rovinare la mia vita da quando ero venuta al mondo, ma odiavo anche me.

«So che ti senti in colpa, anche se non dovresti, so che non ti daresti pace se gli succedesse qualcosa e questo pensiero ti tormenta...ma devi darti forza per riuscire ad andare avanti, perché lo sai, che non è così che vorrebbe vederti lui» e sospirai.

Cercai di smettere di piangere in quel modo, riavviandomi una ciocca di capelli inumidita fin dietro l'orecchio, tornando a guardare il ragazzo che giaceva spento su quel letto gelido «vorrei solo che si svegliasse...» parlai inconsciamente, sentendo la pancia scombussolata per tutto lo stress che quella dannata impotenza mi causava e la testa un po' alleggerita.

«È ciò che vogliamo tutti» aggiunse avvicinandosi di più al mio ragazzo, facendo trascinare la sedia sul pavimento e si sporse verso di lui, per poter sussurrare qualcosa al suo orecchio «hai sentito quarterback? Stiamo aspettando solo che riapri gli occhi» repressi altri oceani di lacrime, nel vedere anche Mason così a pezzi e accarezzai i capelli del mio fidanzato, sfiorando il contorno del suo viso con il dorso delle dita.

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