❃ 25 || XVIII

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Hannah's P.O.V

Io e Noah avevamo passato gli ultimi tre giorni insieme, in quel piccolo angolo di mondo, lontano dai problemi, dalle responsabilità. Avevamo saltato la scuola, in fin dei conti un paio di assenze non avrebbero fatto la differenza né a me né a lui e c'eravamo vissuti come non mai prima d'ora. Avrei voluto passare la vita così. In quel magnifico chalet nascosto fra le colline, circondato da querce e alberi sfioriti, il caminetto sempre acceso per scaldarci, il cigolio delle porte troppe vecchie e lo scricchiolare delle tavole del pavimento più attempate.

Avevamo ripulito tutto insieme, per rendere la casa più vivibile e poter passarci dei giorni, quelli che mancavano prima che potessi compiere definitivamente la mia tanto attesa maggiore età.

Quel giorno era oggi ed io ancora non lo realizzavo, mi sembrava tutto così surreale qui.

Quella mattina, quando Noah rientrò da Seattle ore dopo avermi lasciata sola, avevo scoperto fosse andato da mio padre. Non avevo idea di cosa si fossero detti né come l'aveva presa lui, ma ero certa che Noah non gliela avesse fatta passare liscia conoscendolo. Era brutto ammetterlo, ma non mi dispiaceva minimamente l'idea.

Tornato da me avevamo passato ore a parlare, avevo lasciato crollare definitivamente ogni mia barriera, gli avevo parlato di tutto e più volte avevo visto l'orrore nei suoi occhi. Non volevo avere più segreti con lui ora che sapeva, non desideravo altro che portare trasparenza nella nostra relazione ed era stato così liberatorio parlare per la prima volta a qualcuno di tutti i miei supplizi. Si era preoccupato di convincermi a denunciare, tempestivamente, senza attendere altro tempo. Ieri mattina eravamo stati in caserma, non era stato semplice, ma ce l'avevo fatta.

Cosa avrei fatto senza di lui...

Ed ora era qui.
I capelli scombinati, il viso che affondava nella morbidezza del cuscino, le labbra schiuse, il respiro pesante e un'aria così serena in volto mentre ancora dormiva beato.

Non volevo svegliarlo, era presto e i raggi del sole avevano iniziato a filtrare da poco attraverso le finestre. Il sole ci bagnò pian piano i corpi avvolti dalle lenzuola candite, era gradevole, il tempo scorreva e la stanza si inondava sempre più di luce fino ad illuminargli il volto e far brillare la chioma dorata. Osservai i suoi dettagli, le ciglia lunghe, la pelle da un colorito appena poco più scuro del mio, i muscoli sinuosi che gli solcavano il corpo. Era bellissimo, non smettevo di pensarlo.

Si mosse leggermente, deglutì come stesse bevendo e vidi piccoli spasmi smuovergli le palpebre serrate, poi un verde smeraldo mi fece sorridere. Batté le ciglia più volte, era completamente intontito dal sonno e tornando a chiuderli mi tirò a sé abbracciandomi.

«Buongiorno» mormorai stritolata fra le sue braccia dopo che mi aveva fatta sbilanciare su di lui e mi fece sdraiare sul suo corpo caldo «bambolina...» sussurrò sorridendo e sollevai il viso per guardarlo ancora.

«Buon compleanno» una fila di denti bianchi venne scoperta dalle labbra tirate in un sorriso sincero e mi formicolò lo stomaco.

«Te ne sei ricordato» ammisi spontanea.

Era passato tanto di quel tempo dall'ultima volta che mi ero sentita augurare buon compleanno...dodici anni per l'esattezza.

"Auguri tesoro mio" era stato il mio risveglio, mia mamma venne a riempirmi di baci mentre, ancora avvolta dalle coperte, nascondevano il mio corpo minuto.

"Ma quanto stai crescendo in fretta?" aveva domandato retoricamente abbracciandomi calorosa ed io ero felice.

Ero felice, perché pur avendo un padre come il mio, che passava le giornate a bere e le serate ad urlare contro di noi, avevo tutto l'amore di una donna che per me era la più importante a questo mondo.

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