❃ 20 || Odio

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Hannah's P.O.V

Quel pomeriggio tornando a casa ritrovai tutto il mio malumore, era venerdì ed io odiavo il pensiero di dover passare il fine settimana isolata dal mondo.

Sola.
Rinchiusa.

Ancora non smettevo di pensare a come si erano comportati Zac ed Avery con Noah, a come lui l'avesse provocato fino all'ultimo con sguardi e parole e all'arroganza di lei.

Non nego di aver temuto il peggio per qualche attimo, ma era riuscito a controllarsi, senza dargliela vinta ed io ero fiera di ciò. Sapevo tutti i problemi che si creava ogni volta che perdeva la calma e diventava aggressivo, non sarebbe stato questo il caso.

Scesi dall'autobus e guardai l'orario, si stava facendo tardi e il traffico non era stato d'aiuto. Iniziai ad accelerare il passo, dovevo rimediare in qualsiasi modo per evitare si arrabbiasse anche sta volta e una goccia mi si scagliò in viso.

Poi un'altra.

In poco tempo venne a piovere, il cielo si fece cupo, sembrava già notte nonostante fosse pomeriggio e tuoni impetuosi mi rimbombarono agghiaccianti alle spalle.

Faceva freddo.

Volavano foglie, seguivano folate di vento scagliarsi contro le case, i capelli mi finirono in viso ed arrivai finalmente sotto la tettoia. Il tempo era orrido e tirai fuori le chiavi dallo zaino iniziando a rabbrividire, se ci avessi messo poco di più mi sarei fradiciata.

Dentro casa trovai il solito silenzio, chiusi la porta, continuai ad udire il temporale che stava incupendo il giorno fuori ma dentro riconobbi subito dei passi avvicinarsi macabri ma non mi voltai. Lasciai lo zaino a terra, mi guardai nel riflesso dello specchio davanti l'entrata per sistemare i capelli e lo vidi alle mie spalle.

«Ci hai messo tempo» esalò spazientito e lo guardai dal riflesso, non volevo girarmi ma dovetti farlo e i suoi occhi sembrarono ancora più infernali. Non c'erano molte luci accese, solo quella del salotto alle sue spalle e lo vedevo avvolto dalla penombra.

Sembrava nervoso... ma avrei voluto sbagliarmi.

«C'era traffico...» dissi piano e continuava a fissarmi, c'era qualcosa che lo turbava in me, si notava.

«Potevi tornare in moto, avresti fatto prima» mi suggerì con un finto buonismo che risultò così spettrale al mio udito e raggelai.

Ci aveva visti.

«Io..» mi morì la voce.

Sapevo che mi avrebbe picchiata ormai, non avevo scampo e non c'era consapevolezza più dolente di quella. Avrei voluto aprire la porta alle mie spalle e scappare via, ma le catene invisibili che gravavano sulla mia vita me lo impedirono.

«Quante libertà ti sei presa in questo periodo, eh?» mi incalzò dandomi una spinta e cozzai subito contro il mobile alle mie spalle. Mi tremò il labbro. La realtà era che la paura mi pietrificava ogni volta. Mi aveva già dimostrato che la sua cattiveria non aveva limiti.

«Non sto facendo nulla di male» mormorai a testa bassa e lo sentii ridere amaramente. Il temporale fuori aumentava ed aumentava come la mia paura, era sempre più forte.

«Cosa pensi? Credi che ti lascerò libera solo perché fra pochi giorni compirai la maggiore età? Tu e tua madre avevate le stesse assurde idee, voi e questa assurda ricerca della libertà...tu vuoi solo abbandonarmi, come voleva fare lei. È grazie a me se hai avuto un tetto sulla testa per tutti questi anni, ingrata!» il tono della sua voce non smise mai di alzarsi, terminò la frase sbraitandomi contro e strinsi gli occhi.

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