Hannah's P.O.V
Lo scrosciare dell'acqua del rubinetto aperto, era l'unico rumore udibile nel bagno di casa mia.
Strinsi le dita lungo il bordo del lavandino e continuai a guardare il mio riflesso, avevo lo sguardo perso e spento come ogni giorno e chiusi per un istante gli occhi. Sospirai un paio di volte prima di tornare ad aprirli, ritrovando subito le mie iridi scure e con loro tutta la mia prostrazione.
Chissà se nella sua testa abbia mai riflettuto sul quanto dolore mi stava infliggendo, se potesse provare anche solo minimamente dei rimorsi nel trattarmi tanto male, non comprendevo come fosse possibile tutto ciò. Che l'uomo che avrebbe dovuto proteggermi da tutto e da tutti come solo un padre potrebbe fare, fosse lo stesso che mi stava lacerando l'esistenza. Non provava un minimo di rammarico? Dei sensi di colpa?
Lavai il viso per togliere quell'angoscia che mi si leggeva in volto e sollevai i lembi della maglia per poi sfilarla piano dalla testa. Mi osservai in silenzio, lividi scuri macchiavano la pelle lattea spietati come l'attimo in cui le sue mani mi avevano colpita. Erano la firma atroce che lasciava su di me ogni volta che tornava frustrato. Tirai fuori dal mobile una delle pomate che acquistavo appositamente e iniziai a massaggiare ogni chiazza, presto sarebbero andate via. Ero abituata.
Rientrai in camera per infilare qualcosa di veloce e prendere lo zaino, la scuola era una delle poche opportunità che avevo per scappare da tutto ciò. Ci andavo volentieri.
«Oggi vengo a prenderti io» parlò quando mi vide passare spedita oltre la soglia della cucina e arrestai il passo. Sentivo i suoi occhi plasmarsi addosso alla mia figura stizzita e rimandai il sospiro che stava per sfuggirmi.
«Va bene» esalai piano ed uscii.
Dieci minuti dopo ero sul pullman, accovacciata su uno dei sedili infondo al mezzo dove c'erano ancora poche persone. Gli auricolari erano il mio escamotage per sfuggire dal mondo, la musica mi calmava in parte.
Le gocce d'acqua iniziarono a striare il vetro davanti ai miei occhi e il cielo era grigio oggi. Osservai il mio riflesso quasi indistinguibile sul finestrino e i miei occhi non mentivano, erano perennemente spenti, il mio sorriso con loro.
Erano anni che non sorridevo.
Ma nessuno lo notava.
Era assurdo avere la consapevolezza di essere prigionieri della propria vita. Spesso mi capitava di guardare i miei coetanei o le persone che inconsce mi passavano accanto e di domandarmi se davvero non notassero nulla di strano in me o se semplicemente facessero finta di nulla.
Che idea avevano di me gli altri?
Ero una di quelle tipe da evitare, che non parla con nessuno e sembra odino il mondo intero. Sempre sola, cupa e avvolta nel mistero infinito del mio silenzio. Nascondevo tanto, troppo. Ero diffidente e introversa, eppure quella corazza tanto dura era l'unico modo che avevo per non rischiare di commettere uno degli errori più grandi. Implicare qualcuno nel disastro che era la mia triste vita.
Arrivata a scuola mi diressi come ogni giorno nella mia classe e presi posto nel penultimo banco, ovvero l'unico libero quella mattina. Era un giorno qualunque per me, gli studenti entravano chiacchierando riempiendo mano a mano i posti, nessuno sembrava silenzioso come me. La professoressa di storia fece il suo ingresso in classe e in poco tempo ottenne il silenzio totale nell'aula. Una donna di mezza età esageratamente troppo severa... forse era proprio per questo che riusciva sempre a farsi rispettare, tra l'altro era anche una delle poche a riuscirci così bene.
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My Hero
RomanceHannah è costretta a vivere nella prigionia che per lei rappresentava la sua stessa casa, succube di un padre che tutto le augura fuorché la felicità. Un suo compagno di classe, dopo anni passati all'oscuro della sua esistenza finisce per notarla, u...