La mattina seguente mi svegliai con dei giramenti di testa assordanti. Era domenica e ciò significava che dovevo stare con la "mia" famiglia, alle prese con tutto. Andai in bagno cercando di sistemarmi e non pensare troppo.
Scesi le scale sentendo un buon profumo. Maria aveva preparato una buona colazione, ma questo non mi aiutò a calmarmi. Non appena mi vide, capì che stavo ancora male: «Oh chica stai sempre male per quel ragazzo?». Andai verso il frigorifero a prendere il succo d'arancia: «Un po' meglio...» continuai a mentire.
«Oh tesoro, vedrai che si risolverà», mi accarezzò il viso in segno di conforto. «Lo spero... tu però non dire nulla a... papà e mamma». «Tranquilla tesoro non sapranno nulla, te lo assicuro!». «Cosa non sapranno?». Mi girai di colpo e per poco il succo d'arancia non mi andava di traverso. «Oh buongiorno signorino dormito bene?». «Come al solito, grazie Maria».
Mi guardò con i suoi occhi cerulei, attento e scrupoloso, mentre sorseggiava il caffè: «Tutto bene?» mi domandò senza troppi rigiri di parole. «Si...», divenni bianca come un panno e Bill se ne accorse.
Si avvicinò a me e come un fratello premuroso mise la mano sulla fronte: «Sei strana Eve». «Ti ho detto che sto bene». «Ok, scusa se te l'ho chiesto». «No scusami tu... sono stata scortese».
«Quando sei tornato?» cercai di cambiare argomento. «Da qualche ora...». «Tutto bene?». «Si, come sempre» mi rispose sorseggiando ancora il caffè.
«Ah che bella dormita, la domenica mattina dovrebbe esserci più spesso», sentii dei passi provenire dal salotto. Era la mamma in vestaglia, splendida come al solito, con una vestaglia di seta color porpora. Non appena la vidi però divenni più agitata. Come avrei potuto affrontare una giornata così con loro?
Avrei voluto farmi un bagno in piscina... ma era autunno e caldo non faceva. Volevo prendere e andare via e non vedere più nessuno. Senza troppi pensieri che mi stavano assalendo, presi il telefono e chiamai Brittany: «Posso venire da te?», fui diretta senza soffermarmici troppo e per fortuna mi rispose di si. Fu un momento stupendo per me.
Sorrisi e andai di corsa a prendere la borsa in camera. Non appena aprii la porta pronta ad andar via, vidi Bill davanti ai miei occhi: «Dove stai andando Eve?». «Da Brittany». «Cosa? Adesso?». «Si, andiamo al centro commerciale».
Improvvisamente mi prese per il braccio cercando di poter capire meglio: «Che cosa ti sta succedendo? Sei strana stamattina». «Niente... solo... una delusione amorosa». Mentii ancora spiattellando la storia del ragazzo. Bill fece un cenno col capo, rassegnato e io sgarbatamente gli strattonai la mano: «Non fare cazzate e chiama qualche volta».
Scesi le scale seguita da Bill: «Cosa sei il mio avvocato?». «No, semplicemente sono preoccupato». «Come lo è la mamma?». «E' stata lei a mandarmi per vedere cosa stavi combinando!». «Beh poteva farlo lei, come dovrebbe fare ogni madre di questo mondo». «Eve... ti prego». «Ok. Ora devo andare», «Vuoi che ti accompagni a casa sua?». «No lei viene a prendermi» mentii. Lui mi guardò rassegnato e io non lo ringraziai nemmeno, uscii di casa e dai miei occhi cominciarono a fuoriuscire le lacrime.
Corsi dritta verso la fermata dell'autobus sentendo il mio corpo euforico e le gambe camminare a passi veloci. Arrivata finalmente, corsi a casa di Brittany, per fortuna a pochi minuti di distanza da dove sono scena alla fermata.
La vidi sugli scalini della porta d'entrata, pronta ad aspettarmi. Non appena mi vide si precipitò verso di me: «Evelyn, potevo venirti a prendere perché non mi hai chiamato?». «Volevo stare da sola... scusami», balbettai dall'emozione. «Come stai? Come è andata con i tuoi...». «Non dire più genitori, non voglio più sentire quella parola...!». «Ma sono i tuoi... come non detto. Non pensiamoci oggi, andiamo a fare spese folli e vedrai che starai meglio». «Grazie».
Ci accompagnò la mamma di Brittany e per fortuna passai una bellissima domenica al centro commerciale con la mia migliore amica. Cercai di distrarmi quanto più potevo, ma ovviamente, la mia espressione era sempre persa e triste.
Si fece sera e stetti tutto il giorno fuori. Non mandai nemmeno un messaggio a nessuno e vidi quattro chiamate perse da parte di Bill. Volevo chiedere a Brittany di rimanere a dormire da lei, ma avrei sicuramente destato troppi sospetti.
Quando rientrai in casa, le luci erano ancora accese e in salotto qualcuno stava guardando la televisione: era Bill. Non appena posai la borsa, lui si alzò di sobbalzo, venendomi in contro: «Allora, mi dici cos'hai o no?». «Te l'ho detto oggi è per un ragazzo...». «E tu pensi che io ci creda?».
«Puoi credere a quello che vuoi, io ti ho detto tutto, ora se non ti dispiace sono stanca, domani c'è scuola». «Evelyn sono preoccupato per te...». «Ti preoccupi troppo per me, so badare a me stessa». «Scusa se mi preoccupo di mia sorella e sono premuroso». Tornai lucida per un momento, in fondo aveva ragione: «Scusami è che...». Non riuscii più a trattenermi, cominciai a piangere: «Ti voglio bene e non voglio vederti soffrire. Hai qualcosa...». «Grazie. Ma vedrai che starò meglio».
Avrei tanto voluto dirglielo, ma non ci riuscii... ero troppo triste per avere le giuste forze e confessarglielo una volta per tutte, che io "probabilmente" ero stata adottata e soprattutto era una cosa fresca. «Ora vado a dormire». «Va bene... buonanotte».
Il giorno seguente sapevo a cosa andavo in contro; la scuola è sempre stata un'arma a doppio taglio. Mi svegliai con una forte nausea e mi precipitai dritta in bagno a nascondere gli occhi gonfi. Piansi per quasi tutta la notte e avevo dormito molto poco. Una voce nel cervello continuava a dirmi di stare a casa, ma non volevo che si preoccupassero troppo per me, cominciando a riempirmi di domande.
Scesi le scale e vidi Bill già pronto per uscire, con il solito sguardo triste e preoccupato. Mamma e papà non erano ancora andati via e li vidi in salotto seduti sul divano, con sguardi preoccupati: «Tesoro dobbiamo parlare». Mi si fermò il cuore. Mi girai verso Bill arrabbiata più che mai: non sapevo nascondere bene le mie emozioni e Bill mi conosceva fin troppo bene.
Sicuramente aveva parlato con loro dei miei strani atteggiamenti. Corsi in cucina facendo finta di niente, ma la mamma mi seguì più decisa che mai a capire cosa avessi: «Siamo preoccupati per te... vogliamo solo il tuo bene amore... ti prego dicci cosa succede». «Bill che cosa hai raccontato?». «Nulla Evelyn... anche loro si sono accorti che non stai bene».
Vidi papà comparire dal nulla, preoccupato anche lui per la mia salute. Io presi al volo qualcosa dal frigorifero anche se mi sentivo esplodere. D'un tratto mia madre disse una cosa che mai mi sarei aspettata, ma d'altronde, sono pensieri che i genitori hanno solitamente: «Sei incinta?». «Cosa? No. E' per un ragazzo chiaro?». «Un ragazzo?». «Si, ci sono sono uscita qualche volta e ha deciso di chiuderla. Tutto qui, è solo una delusione e basta. Smettetela di essere così preoccupati per me».
Si guardarono negli occhi più confusi di prima: «Beh tesoro... lo sai che per qualsiasi cosa noi ci siamo». «Si... d'accordo». «Vieni Eve, andiamo a scuola». Mi fece Bill con la mano.
Presi lo zaino e uscii velocemente di casa, dando di spalle a Bill. Aspettai che aprisse la portiera e quando lo vidi davanti a me, mi resi conto che lui non mi credette come mamma e papà.
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HAPPENED 1 - (Così lontani, così vicini)
Romance[STORIA COMPLETATA] TRILOGIA della saga PRIMO CAPITOLO DELLA STORIA: HAPPENED così lontani, così vicini Evelyn è una semplice e spensierata ragazza di diciassette anni che vive una vita piena e felice: i suoi amici, il suo liceo, la sua famiglia. E'...