Receptionist al cioccolato-Parte 1

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Ti capita mai di fissare il cielo e trovare che una nuvola assomigli ad una grande torta al cioccolato?

Una di quelle con il pan di spagna al cacao, ripiena di una deliziosa crema al cioccolato mandorlato e ricoperta di glassa al pistacchio... proprio come quella che sto fissando in questo momento, con il naso spiaccicato sulla vetrina della pasticceria, la bocca aperta e la lingua che di tanto in tanto si muove per scacciare una mosca che prova ad insinuarsi tra le labbra.

E' capitato di nuovo. Sono arrivata alla fermata dell'autobus delle 9.35 con trenta minuti di anticipo, ho sollevato lo sguardo per dare un'occhiata al tempo e bum... una bella nuvoletta sferica mi strisciava sulla testa. Se avessi potuto annusarla, avrebbe di sicuro odorato di Nutella.

Così mi sono voltata, conscia di quello che avrei trovato alle mie spalle e, per l'ennesima volta, bum... la migliore pasticceria di Torino è entrata nel mio campo visivo con la veemenza di un italiano che prova a comprare da un immigrato un paio di occhiali da sole a due euro. E, così come l'immigrato dice di no con la triste consapevolezza che prima o poi cederà, io ho cominciato a scuotere la testa con insistenza.

Assolutamente no, mi sono detta, io sono più forte di loro.

Loro altro non sono che le venticinque torte gourmet che sono esposte in vetrina su ben quattro piani, crudeli tentatrici del palato umano e dei portafogli dei passanti.

E adesso sono qui, spalmata sul vetro lucidato che mi separa dalle mie adorate.

Mentre contemplo per la quarta volta la perfezione con cui è stata spalmata la glassa al pistacchio, una voce gracchiante risuona nel mio orecchio destro.

<<Signorina, entra o deve stare lì ancora per molto?>>

Mi giro con lentezza, restia ad abbandonare il contatto visivo instaurato con la mia torta preferita, e osservo la cameriera alla mia destra. Fisico slanciato, ricoperto da una divisa bianca macchiata sul petto di schizzi color cioccolato, una cuffietta a fasciarle i capelli chiari e le mani poggiate sui fianchi. Penso subito che questa ragazza farebbe colpo su chiunque. Di sicuro lei non le vede, le nuvole a forma di torta.

<<Oh, mi scusi... be' io... osservavo.>>

La ragazza alza un sopracciglio e storce un poco le labbra.

<<Se resta lì copre l'intera vetrina con il suo corpo>> dice, facendo scivolare gli occhi dai miei piedi sin sulla testa <<e non mi pare il caso.>>

Dedico un'ultima occhiata alla mia torta e torno a guardare la ragazza, che ha assunto uno sguardo impaziente.

<<Come, prego?>>

La vedo avvicinarsi a me, tanto da sfiorare il suo naso con il mio e subito penso che mi basterebbe mettere il petto in fuori per farla cadere a terra.

<<Credo che lei abbia capito>> dice, alzando il sopracciglio nello stesso modo di poco fa.

Imito la sua ostinazione e poggio anche io le mani sui fianchi.

<<E invece no.>>

La ragazza inspira, chiude gli occhi e serra la mascella. Dopo aver incanalato per bene la rabbia sulla punta della lingua, decide di rispondermi.

<<I passanti non vedono niente se si posiziona per mezz'ora davanti al negozio, è così grassa che copre tutta la vetrina.>>

Mentre pronuncia quelle parole vedo spuntare sulle sue labbra un mezzo sorriso, come trattenuto da un senso del decoro che pensa ancora di possedere.

Io non le rispondo, non potrei. Come potrei insultarla?

Dicendole che è più grassa di me, che ha un viso orribile, che per ciò che ha detto nessun ragazzo la desidererebbe più? Sarebbero tutte falsità.

E' bella, così bella da esserlo anche dentro una divisa macchiata di cioccolato. E i ragazzi vedrebbero nient'altro che questo: un paio di tette e due occhi azzurri.

Così non posso far altro che servirmi dell'unica qualità di cui sono dotata, la forza. Mi allontano di poco, lo spazio necessario per agire, porto indietro il braccio destro e le sferro uno schiaffo con la mia mano possente. Quando la ritraggo vedo la forma delle mie dita sulla sua guancia e, poco dopo, delle lacrime che scorrono copiose.

<<Non toccherebbe a me darti uno schiaffo>> dico, mentre la vedo sorreggersi la guancia <<ma a quanto pare tua madre non te ne ha dati abbastanza.>>

Così le do le spalle, mentre la sento correre dentro la pasticceria in lacrime, e mi dirigo verso il palo della fermata dell'autobus. Quando sollevo lo sguardo, lui è già lì, pronto a ripartire.

Ruoto con una mano l'orologio che ho sul polso e guardo l'ora. Sono le 9.34.

Comincio a correre per raggiungerlo in tempo e scuoto il braccio in aria così come ho visto fare spesso a molti ritardatari. Io, però, sono sempre puntuale. Se non fosse stato per quella stupida ragazzina, sarei già nell'autobus, seduta sulla mia poltrona e mezzo, intenta ad osservare il panorama al di là del finestrino.

E' tutta colpa di quelle dannate torte. Anzi, delle nuvole a forma di torta.

Continuo a correre, ma l'autista sembra ignorare che il collo possa ruotare verso destra. Se lo facesse, vedrebbe un ammasso di vestiti correre alla velocità di un bradipo verso di lui.

Tutto quel che rimane del mio autobus delle 9.35 è l'odore del carburante con il quale è ripartito senza di me.

Torno a fissare l'orologio. Sono le 9.36 e a Torino il mio maledetto autobus ha deciso di essere puntuale proprio nel giorno sbagliato.

Mi volto a guardare la strada che ha imboccato e rifletto sulla distanza che mi separa dalla mia destinazione. Credo siano poco meno di cinque chilometri e ho soltanto quarantasei minuti disponibili per percorrerli. Decido: li percorrerò a piedi, mal che vada avrò perso un centinaio di grammi sulla bilancia.

Riposiziono la borsa sulla spalla e comincio a far tintinnare i tacchi sul marciapiede.

Cinquanta minuti dopo sono a pochi metri dalla fine, con il fiatone e i capelli incollati sulla fronte.

Ripenso all'impresa appena compiuta e sorrido, stasera potrò mangiare quanti Kinder Cereali desidererò senza sentirmi in colpa.

Quando mi trovo davanti alla porta d'ingresso, non posso fare a meno di sollevare lo sguardo per ammirare il palazzo in stile vittoriano che mi si para davanti. Le pareti ocra riflettono i lievi raggi di sole di questa giornata di metà aprile e sono costretta a socchiudere gli occhi per non farmi accecare. Sopra la porta d'ingresso, una scritta in ferro rompe la continuità dello stile ottocentesco.

Ferrero Fashion Group.

Una delle migliori case di moda emergenti in tutta Torino, da qualche anno in prima linea durante la settimana della moda di Milano. Apprezzata dai più, invidiata dai restanti, rappresenta un punto di svolta nel campo dell'abbigliamento: colori sgargianti, cappellini londinesi e tubini al ginocchio. Una ripresa dello stile del secolo scorso, coniugato in tonalità varie e appariscenti.

O almeno, questo è ciò che dice il volantino che ho trovato nella cassetta della posta.

Nella stessa locandina, scritto a caratteri cubitali sull'altro lato del foglio, si trova l'annuncio che mi ha portata fin qui.

"Cercasi receptionist, disponibilità immediata."

Scusa se sono grassaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora