Ciao a tutti!
Mi scuso per il mancato aggiornamento di ieri, ma purtroppo mi sono intrattenuta più del dovuto a scuola di ballo. 🙈
Spero che questo capitolo vi piaccia, per qualsiasi dubbio o perplessità contattatemi pure!
Buona lettura
Forse è stato il mio colpo violento che gli ha salvato la vita, oppure il terrore di dover tornare a casa senza aver portato avanti il suo flirt, comunque Andrea si decide a seguire le mie indicazioni per raggiungere il paninaro nelle vicinanze.
Ed è qui che, con grande orrore, scopro che quest'uomo non sa cosa ordinare da un paninaro perché non ne ha mai frequentato uno, quindi sono io a scegliere per entrambi un bel panino con la porchetta ripieno di insalata e maionese.
Dopo esserci seduti su un muretto, cominciamo a mangiare: io con la mia solita naturalezza, lui un po' impacciato. Ad un tratto Andrea smette di mangiare, mantiene a mezz'aria il suo panino e fissa me che addento con poca raffinatezza un bel pezzo di panino che straborda di maionese.
Mi si avvicina e comincia ad accarezzarmi i lunghi capelli castani, mentre le sue labbra sottili sono sempre più vicine alle mie. Io respiro profondamente e resto immobile, con il boccone ancora intatto sulla lingua. Quando ormai a separarci c'è soltanto il mio panino, Andrea mi stringe a sé e comincia a respirare con affanno, pronunciando frasi sconnesse di cui riesco a percepire solo poche parole.
<<Che bella porchetta che sei!>>
Ingoio il boccone e gli rispondo.
<<Come hai detto?>>
Lui si scosta con rapidità e torna a guardarmi. Si tortura le mani per la vergogna.
<<Bella fighetta, ho detto che sei una bella fighetta!>>
Adesso ne ho abbastanza.
Ho sopportato di tutto questa sera, ma paragonare me al panino che stiamo mangiando è anche troppo!
Gli lancio quel che resta della mia porchetta in faccia e mi alzo per andare via, mentre lui prova a trattenere il mio braccio sinistro.
<<Lasciami stare. Cosa diavolo ti è saltato in mente? So bene di pesare tanto, di essere un'obesa, e tu me lo sussurri all'orecchio mentre provi a strusciarti su di me?>>
Andrea si gratta i capelli a spina e guarda in basso.
<<Ma non è come pensi, lasciami spiegare!>>
<<Al diavolo, tu e il tuo supermercato. Me ne vado.>>
Mi allontano da lui a passo spedito, senza badare alla direzione.
Cammino, cammino e cammino. Con la speranza che la sensazione di inadeguatezza si dilegui dalla mia pelle.
Quando mi hanno criticata, denigrata e umiliata, ho sempre sorriso. Anche quando ero io stessa a non riuscire a guardarmi allo specchio, ho indossato il mio vestito preferito e ho sorriso.
Per ventidue anni ho subito gli sguardi della gente, incollati sulla mia pancia voluminosa o sul mio fondoschiena appariscente, e li ho accettati. Perché sono consapevole del fatto che tutto questo dipende da me e dal mio legame profondo con il cibo.
Amo mangiare e, soprattutto, amo i dolci.
E mi amo così, anche se a intermittenza. Ecco, sono come quella torcia quasi scarica, ma che lotta ancora per rimanere luminosa: a volte mi spengo, ma subito dopo torno a splendere.
Oggi, però, ne ho avuto abbastanza. Di tutti. Qualsiasi persona con cui ho interagito negli ultimi due giorni non ha fatto altro che sottolineare la mia condizione di obesità grave.
Mentre penso a questo, cammino e non bado alle automobili che suonano ripetutamente il clacson per la sbadataggine con cui attraverso le strade.
Dopo una mezz'oretta di camminata incessante, mi ritrovo in un vicolo che mi pare di riconoscere. Così, sollevo lo sguardo e un palazzo vittoriano mi saluta con le sue persiane ocra. In basso, l'insegna della Ferrero Fashion Group mi ricorda dove sono cominciati i miei guai.
Quel dannato Andrea Ferrero. Ha pure il cognome di uno dei miei dolci preferiti, ma non se lo merita. E' più un dolce avariato che un Ferrero Rocher.
La rabbia che sto provando in questo momento, mi porta a formulare un'idea vendicativa. Apro la mia borsa e cerco la matita nera che uso per disegnare una linea sottile sulle palpebre e, dopo un paio di moti circolari della mano nel marasma di fazzoletti sporchi e scontrini vecchi, riesco a trovare ciò che cerco. La tiro fuori e la sollevo allo stesso modo con cui fu sollevato Simba il giorno della sua nascita. Questa matita rappresenta la svolta decisiva a queste due giornate impossibili.
Mi dirigo verso il portone d'ingresso, guardo attorno per vedere se qualcuno è nei paraggi, poi passo all'azione. Tolgo il tappo alla matita e ne ammiro la punta affilata: è proprio ciò di cui ho bisogno.
Prendo le misure del portone color ocra come il resto dell'appartamento e comincio a far strisciare la matita sulla sua superficie.
Qualche minuto dopo ammiro la mia opera: un gigantesco fallo si staglia sulla porta d'ingresso, a dimostrare che chi entra in questo posto è solo un gran cazzone.
Riposiziono il tappo sulla punta della matita e lo lancio distrattamente in borsa. Questo mio atto vandalico era proprio ciò che ci voleva, una valvola di sfogo per una pentola a pressione che stava per scoppiare. Continuo a guardare il mio disegno e non riesco a non sorridere al pensiero che domani mattina tutti i dipendenti della Ferrero Fashion Group, e lo stesso Andrea Ferrero, guarderanno inorriditi la porta d'ingresso. Vorrei poter essere stata assunta soltanto per bearmi delle loro facce magre e spaventate da un pene di dimensioni umane.
Mi allontano dal portone d'ingresso, decisa a tornare nella mia scomoda casa in affitto, questa volta davvero pronta ad avvisare la mia famiglia che in questa città non c'è posto per me. Ho appena mandato al diavolo il mio datore di lavoro e in quegli istanti mi sono vista sfumare sotto gli occhi la mia ultima possibilità d'impiego. Ho provato a portare avanti il piano suggeritomi da mia nonna, ma io non sono forte e coraggiosa come lei. Mia nonna è sopravvissuta ad una guerra, alla carestia successiva; ha mandato avanti la sua famiglia dopo la morte del padre; infine, ha finto un fidanzamento per permettere a mio nonno di lavorare.
Mia nonna è il mio idolo, la figurina della Madonna Immacolata che ci si porta nel portafoglio per farsi proteggere dalle vicissitudini della vita. Be', mia nonna è un po' meno santa.
Sono pronta a rifare la valigia disfatta soltanto tre settimane fa, così a spalle basse mi allontano dalla Ferrero Fashion Group.
Una voce profonda e gutturale urla a qualche metro da me.
<<Signorina, venga subito qui.>>
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Scusa se sono grassa
Ficción GeneralTorino, aprile 2019. Elisa Fanelli, ventidue anni, pugliese in cerca di lavoro, ha un particolare che la differenzia dalle tipiche protagoniste di una storia: pesa 104 kg. Un'obesità di terzo grado che non frena lei, ma la maggior parte di coloro ch...