Ieri sera-Ultima parte

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Ciao a tutti!

Se dopo questi due lunghi mesi non vi ricordate di me, proverò a rinfrescarvi la memoria: sono Nicole, quella scribacchina che della scrittura vorrebbe farne un lavoro, ma non riesce a rispettare scadenze e non è stata in grado di tirar fuori un po' di fantasia durante la scorsa quarantena.

Sapete, Elisa è un vulcano e per poter scrivere di lei ho bisogno di esserlo un po' anch'io. Questa quarantena mi ha resa un vulcano in quiescenza, ma ora sono pronta a eruttare tutta quella lava di parole di cui vi ho privati in questi mesi!

Spero di avervi ancora con me in questo viaggio e vi prometto che, tra un esame e l'altro, io ci sono. Anche se con due mesi di ritardo.

Buona lettura,

Nicole




 Lui, intanto, mi guarda con un sopracciglio sollevato e la mascella che continua imperterrita a scivolare tra i suoi denti.

<<Non parli, adesso?>>

Mi avvicino a lui a grandi passi, con i pugni serrati lungo i fianchi e gli occhi pieni di lacrime che mi rifiuto di far colare. Quando gli sono abbastanza vicino da essere sicura che possa notare la delusione nelle mie iridi, riprendo a parlare.

<<Sei il mio capo, mi paghi per il mio lavoro, ma non ti permetto di rivolgerti a me in questo modo!>>

Dal suo viso la rabbia comincia a scivolare via e a far spazio ad un' espressione di incertezza e stupore. Sì, è proprio così, sembra meravigliato dalle mie parole.

<<A quanto pare hai bisogno di qualcuno che ti ricordi che non sei una bambina.>>

Adesso siamo vicini, così vicini che i respiri di entrambi ci giungono sulla pelle umida del viso, ad aggiungere calore all'aria già bollente di suo. Sollevo un braccio e gli sferro uno schiaffo violento sulla guancia. Sul viso di Andrea ricompare quel velo di furia che lo aveva abbandonato poco prima.

<<Pensi che andare via di casa a ventidue anni, da sola e con pochi spiccioli in tasca mi abbia insegnato ad essere una bambina?>>

Alle mie orecchie non arriva alcuna risposta.

Mentre degli spasmi cominciano a scorrermi lungo tutto il corpo, un uomo in divisa si dirige verso il gabbiotto all'ingresso, lanciandoci di tanto in tanto delle occhiate indagatrici.

<<Tu>> dico, facendo urtare il mio dito indice sul suo petto, <<sei tu il bambino! Mi hai costretta a cominciare una dieta per avere un lavoro, hai provato in qualsiasi modo ad avermi nella tua cazzo di azienda e ora pensi che sia una bambina? Hai detto anche questo a Carlo? Che dico parolacce, sono troppo sfrenata e che sono una bambina?>>

Il mio corpo è un singolo fremito di agitazione che mi percuote, percepisco l'adrenalina scorrermi lungo ogni centimetro di pelle. E il cuore batte all'impazzata.

Le sue parole mi hanno ferita più degli stupidi insulti sul mio aspetto fisico. Sono arrivata a Torino proprio per rendere solido il mio sogno di indipendenza e sapere che Andrea, l'uomo grazie ai cui soldi riesco ancora ad inseguire questo sogno, ha questa opinione di me, mi fa sentire una fallita. Proprio quella parola che un mese fa ho scacciato via cominciando la dieta, adesso si ripresenta più forte che mai.

Andrea è in silenzio a pochi centimetri da me, con lo sguardo di sfida che regge il mio e la rabbia che pian piano sta andando nuovamente via dalla sua faccia.

<<Io non ti ho costretto a fare nulla, ti ho offerto una opportunità e tu l'hai colta.>>

La sua tonalità di voce, che manca di quella violenza di cui si era riempita poco prima, accresce in me la rabbia.

<<Per te sono solo un' opportunità, non è vero? Certo, la dieta e il lavoro sono stati una manna dal cielo per me, ma sono anche una sfida. Pensi che la mattina sia facile svegliarsi con l'idea di dover raggiungere un traguardo che prima non avevo mai concepito possibile? E' dura vivere da sola, lontano dalla mia famiglia, e fare a botte con me stessa per impedirmi di mangiare un pezzo di tiramisù per cena.>>

Prima che Andrea possa accorgersi delle mie lacrime, volto le spalle e mi decido ad andare via. Una sua mano, però, afferra il mio braccio e mi costringe a girarmi. Quando lo faccio, noto che gli occhi di Andrea sembrano indeboliti, privi di quella durezza che li ha sempre contraddistinti.

Mi guarda con così tanta intensità, si aggrappa ai miei occhi con tale veemenza e il braccio, ancora circondato dalle sue dita, mi afferra con una forza così dolce da essere certa che lui stia per farmi delle scuse. Non siamo mai stati tanto vicini, ho le narici impregnate del suo profumo e il cuore che potrebbe sciogliersi da un momento all'altro e perdonargli qualsiasi cosa.

Vedo Andrea schiudere le labbra, pronto a parlare, e io sono pronta ad accogliere le sue scuse.

<<Devi capire che hai un dovere e, per quanto sia difficile, va rispettato.>>

Non riesco a crederci. Per qualche istante ho avuto la certezza che lui stesse per porre rimedio a quello che ha detto e questo mi ha resa così... felice.

Dall'altro lato della strada il suono di un clacson riesce a penetrare oltre il vetro del portone d'ingresso. Andrea si aggiusta il colletto della camicia e afferra la maniglia del portone, riuscendo anche questa volta ad aprirlo senza sforzi.

<<E' Laura, devo andare. Vieni, ti do un passaggio.>>

Regge con una mano il portone e si posiziona ad un lato, provando a donarmi la gentilezza di lasciarmi lo spazio per uscire della caserma. Ma questa volta non mi lascerò sedurre dai suoi modi galanti.

No, io sono indipendente e posso aprire un fottuto portone da sola!

<<Vado a piedi>> e, detto ciò, oltrepasso l'uscio e afferro la maniglia del grande portone. Andrea, intanto, non molla la presa.

<<Lascialo, so chiudere un portone da sola.>>

<<E' troppo pesante, faccio io.>>

Le nostre mani sono ancora posizionate sulla maniglia e nessuno dei due ha alcuna intenzione di cedere. Dall'altro lato della strada, Laura suona ripetutamente il clacson.

<<Molla la presa, non vorrai che le si rompano le acque sul sedile della tua macchina di lusso.>>

Andrea solleva le sopracciglia, poi volta il capo e dà una rapida occhiata alla sua automobile. Poi riprendere a tenere salda la presa sulla maniglia.

<<Se dovesse accadere, manderei qualche mia dipendente a lavare gli interni>> e, tra la sua solita espressione di durezza, si fa spazio un mezzo sorriso.

Provo ancora a scacciare la sua mano dalla maniglia, ma mi accorgo di aver sottovalutato la sua forza fisica. Rimaniamo così, in un'altalena di mani che si scacciano a vicenda e, mentre sul suo viso sembra quasi formarsi l'ombra di un sorriso, sul mio vi è solo una grande nuvola nera pronta ad emettere fulmini.

<<Adesso basta! Mi hai proprio rotto il ca...>>

Prima che possa terminare la frase, do una gomitata sul braccio di Andrea e tiro con tutte le mie forze, davvero tutte le mie forze, il portone. Questo si chiude con un fragore potentissimo e trema, vibra come un bambino in preda alla febbre.

Sto per voltarmi verso Andrea, soddisfatta per avergli dimostrato che so chiudere da sola una porta, quando a pochi centimetri dal mio viso percepisco un improvviso moto d'aria e, poco dopo, uno schianto.

Sento Andrea sussurrare un "oh oh".

Sollevo lo sguardo sul muro al di sopra del portone della caserma e spalanco la bocca.

"rabinieri".

Oh oh.                                                                                                                             

Scusa se sono grassaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora