Sono tornata nella mia piccola casa in affitto poco prima di mezzogiorno. Ho preso l'autobus delle 11.03 e ho chiesto all'autista con uno sguardo assassino se fosse lo stesso conducente della tratta delle 9.35. Mi ha fissata per qualche istante e, un po' intimorito, mi ha detto che lui lavora soltanto nel pomeriggio e che quello di oggi era stato un caso, una sostituzione temporanea. Mi ha anche confessato che l'autista delle 9.35 è un "bifolco incapace", citando le sue parole, è che a volte si diverte a lasciare a piedi le persone. Dentro di me non ho potuto non pensare che la prossima volta si divertirà a massaggiare la sua mascella per il pugno che gli sferrerò proprio sul mento.
Adesso sono qui, seduta su una sedia cigolante e con i gomiti appoggiati al tavolo della cucina. Più mi guardo attorno, più sento nostalgia di casa. Non faccio che pensare al soggiorno dei miei genitori, arredato da mio padre seguendo il colore di tendenza di dieci anni fa: beige scuro, tendente al colore delle stampe che lasciavo sul pavimento quando tornavo a casa dopo una giornata di pioggia. Ho sempre pensato che mio padre lo abbia fatto intenzionalmente.
Guardo l'ora dall'orologio che ho al polso e mi rendo conto che la mia ospite è già in ritardo di venti minuti. Sto per digitare il suo numero al telefono, quando sento suonare il campanello.
Mi sollevo dalla sedia e percepisco dei crampi alle cosce, è sicuramente colpa della corsa fatta questa mattina.
Quando apro la porta una figura magra come un grissino è ritta sull'uscio. La prima cosa che mi salta all'occhio è il suo naso aquilino che supera di quasi tre centimetri il resto del viso. Penso che sotto quel groviglio di cartilagine e peli ci possa essere una bella ragazza, ma quella matassa offusca ogni sua altra caratteristica.
<<Angela, finalmente sei arrivata!>> le dico, picchiettando l'indice sul quadrante dell'orologio.
Lei si fionda su di me per abbracciarmi e, con un riflesso involontario, faccio un balzo sulla sinistra per evitare che il suo naso urti la mia guancia.
Quando ci sediamo a tavola, è già tutto pronto per il pranzo. Dall'espressione di Angela, capisco che ha gradito il mio impegno.
<<Allora, cosa mi racconti? Mi hai detto che dovevi parlarmi.>>
Io annuisco. Avevo bisogno di una persona fisica con cui sfogarmi e trovare una soluzione ai miei problemi, la voce di mia nonna dall'altro lato del telefono non avrebbe saputo aiutarmi come desidero.
<<Oggi sono andata alla Ferrero Fashion Group per il colloquio.>>
Angela batte le mani per l'esultanza.
<<Com'è andata? Se non prendono te, che hai uno stile formidabile...>>
Abbasso le spalle con fare stanco e la mia amica si interrompe di scatto.
<<Non mi hanno presa.>>
Mi guarda con gli occhi sbarrati per l'incredulità.
<<Ti hanno spiegato almeno il motivo?>>
<<Certo che sì. Sono troppo grassa per i loro standard.>>
Angela colpisce il tavolo con entrambe le mani e assume un'espressione truce.
<<Bastardi, non se la meritano una come te>> dice, poi si sofferma a guardarmi e prosegue, <<anche se con il bel visino che ti ritrovi, io al posto tuo farei qualcosa per valorizzarlo.>>
Piego la testa verso destra e serro le labbra.
<<Non parlarmi di diete, sai come la penso.>>
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Scusa se sono grassa
General FictionTorino, aprile 2019. Elisa Fanelli, ventidue anni, pugliese in cerca di lavoro, ha un particolare che la differenzia dalle tipiche protagoniste di una storia: pesa 104 kg. Un'obesità di terzo grado che non frena lei, ma la maggior parte di coloro ch...