<<E' vero che è stata l'unica a presentarsi al colloquio e lo capisco bene, quasi tutta la città sa che offro grandi stipendi in cambio, però, di grandissime responsabilità>> si aggiusta il nodo della cravatta e prosegue, <<eppure lei è qui.>>
<<Credo di non saperlo perché non sono torinese, vengo dalla Puglia, precisamente da un paesino nelle vicinanze del capoluogo, Bari.>>
Il capo della casa di moda annuisce soddisfatto.
<<Lo avevo già capito dal suo accento.>>
Per la prima volta da quando ho cominciato a parlare con lui, le mie guance si tingono di rosso. Le considerazioni sul mio accento meridionale mi hanno sempre intimidita, poiché la cadenza che non riesco a eliminare mi fa vergognare più della mia debolezza verso i dolci.
Mi distolgo dal mio imbarazzo, pronta a conquistarmi il posto di lavoro.
<<Signore, le garantisco che sono in grado di adempiere alle mansioni che mi indicherà. Ho bisogno di questo lavoro, ho bisogno di questo stipendio e voglio dimostrarle di poterci riuscire.>>
Lui annuisce ancora, eppure questa volta non noto soddisfazione sul suo viso, ma scherno.
<<Non lo metto in dubbio. Ma vede, questa è una casa di moda e come tale ogni suo dipendente deve essere in linea con gli standard richiesti.>>
<<Se si riferisce alla mia gonna, le prometto che non la indosserò più...>>
Mi ferma con il palmo della mano rivolto verso di me, poi osserva la receptionist ancora accanto a lui ed entrambi sorridono.
<<Non è la gonna, non sono i capelli, niente di tutto questo. E' lei.>>
Mi guardo attorno, smarrita più che mai. Lui continua a parlarmi, spalleggiato dai sorrisi della donna alla sua destra.
<<E' il suo peso. Come pensa di poter lavorare in una casa di moda, piena di modelle mozzafiato e clienti dai fisici adeguati a poter indossare i nostri abiti? Sarebbe un pesce fuor d'acqua, come un celiaco che fa il panettiere.>>
Ridono entrambi per la battuta finale e io penso di essermi fatta sfuggire l'ultima possibilità a causa del mio corpo.
Poi mi ricordo di quanto valgo, dei sacrifici fatti per arrivare fin qui, di quelli dei miei genitori che mi hanno finanziato il viaggio e degli occhi colmi di speranza di mia nonna. Ripenso a tutto questo e mi rendo conto che non è il mio corpo la causa di questa disfatta, ma la loro ignoranza.
<<Grandissimo figlio di puttana, tu e questa signora non siete altro che inutili amebe in un sistema che non ha bisogno delle vostre menti bacate.>>
Li guardo con tutto il disprezzo che riesco a simulare con il viso, perché in realtà non provo disprezzo. Nei miei ventidue anni di vita, mi è capitato fin troppo spesso di essere derisa, umiliata e intralciata a causa della mia obesità.
Faccio per andare via, poi mi ricordo dell'ultima frase che devo assolutamente pronunciare, altrimenti mi tormenterà per giorni mentre sono in doccia a pensare alle mille risposte differenti che avrei potuto utilizzare durante la discussione.
Mi avvicino di nuovo a loro, imbalsamati nella posizione in cui li avevo lasciati, forse per l'incredulità della mia reazione.
<<E comunque un celiaco può farlo il panettiere, basta usare la farina di mais.>>
Detto ciò, sbatto la porta d'ingresso alle mie spalle e prendo il cellulare dalla mia borsa.
Dopo qualche squillo, dall'altro lato percepisco un lieve "pronto".
<<Nonna mia!>>
Sento un sospiro di sorpresa e subito scaccio il malcontento accumulato in questi interminabili minuti nella Ferrero Fashion Group.
<<Tesoro mio, come stai?>> me lo dice in dialetto, in una lingua che non sento da tre settimane, il tempo esatto trascorso dal volo preso per venire qui.
<<Abbastanza bene, ti volevo avvisare che torno a casa, qui non c'è lavoro per me.>>
Mia nonna si fa attendere qualche istante prima di rispondermi.
<<Tesoro mio, ma cosa dici? Ripetimi chi sei.>>
<<Dai nonna, ormai non funziona più, l'ultima volta che l'ho fatto avevo otto anni e un cinque alla verifica di matematica.>>
<<Però la volta dopo hai preso un otto.>>
Mia nonna, ottantatre anni di vita attiva e impervia, ha una memoria di gran lunga migliore della mia.
Decido di accontentarla e, controvoglia, pronuncio la frase che ripetevo a me stessa quando ero una bambina indifesa, per non arrendermi e ottenere ciò che volevo.
<<Sono Elisa Fanelli, figlia di un operaio e di una casalinga, e sarò l'eroina della mia famiglia.>>
Sento la nonna applaudire per la felicità.
<<Hai visto che funziona?>>
Le dico di sì, che la formula magica ha funzionato come all'età di otto anni, che non mi arrenderò e prenderò il mio otto in matematica. Ma non ci credo.
<<Allora tesoro mio, resta lì e combatti per il tuo futuro.>>
Con le lacrime agli occhi le rispondo.
<<Va bene, lo faccio solo per te. Però se non dovessi riuscirci, io torno a casa e tu mi fai trovare per pranzo la parmigiana.>>
Mia nonna ride e il mio cuore si fa un poco più lieve.
<<Va bene, adesso combatti. Ti voglio bene, tesoro mio.>>
Quando ripongo il telefono nella borsa, mi rendo conto che la chiacchierata con mia nonna mi ha migliorata. Meno negatività, più forza per superare questa delusione.
Troverò un lavoro, nonostante i miei centoquattro chilogrammi. Lo troverò per me e per tutte le donne dal destino intralciato dalla loro obesità.
Io, Elisa Fanelli, figlia di un operaio e di una casalinga, centoquattro chili per centosessanta centimetri di altezza, sarò l'eroina della mia famiglia!
Buonasera lettori!
Questo capitolo, come potete aver notato, è più breve dei primi due. Questo perché completa e termina il primo lungo capitolo che ho pensato di dividere in tre parti per tutti coloro che leggono dallo smartphone.
Spero che non vi abbia deluso!
Per qualsiasi informazione, chiarimento o perplessità non esitate a farne parola con me!
P.S. Gli aggiornamenti avverranno OGNI GIORNO alle ore 20:30, Elisa sarà pronta ad attendervi per quell'ora!
A domani,
Nicole
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Scusa se sono grassa
Ficção GeralTorino, aprile 2019. Elisa Fanelli, ventidue anni, pugliese in cerca di lavoro, ha un particolare che la differenzia dalle tipiche protagoniste di una storia: pesa 104 kg. Un'obesità di terzo grado che non frena lei, ma la maggior parte di coloro ch...