Una sbronza illuminante-Parte 1

508 46 45
                                    

Si muove tutto. Il lampadario della cucina, il tavolo, le sedie, il pavimento.

Ondeggiano da un lato all'altro, con lentezza. E' così piacevole osservarli.

Sorrido con gli occhi semichiusi e uno strano sapore amaro in gola.

Se in questo momento potessi esprimere un desiderio, vorrei che mi spuntassero un paio d'ali sulla schiena per poter fluttuare anch'io per la casa. Poi penso al fatto che queste due ali dovrebbero essere davvero resistenti per riuscire a sollevarmi.

Come volavano gli angeli obesi di Gesù? Forse avevano le ali anche sotto i piedi.

<<Elisa, è successo qualcosa?>> la voce di mia nonna gracchia dal telefono.

Abbasso la testa e mi accorgo di averlo ancora in mano. Che strano, me n'ero dimenticata.

<<Si muove tutto>> dico, trascinando le parole.

<<Ma ti senti bene?>>

La voce di mia nonna arriva preoccupata. Vorrei dirle che non mi sono mai sentita meglio, che mi sento un angioletto pronto a spiccare il volo e a fluttuare nell'aria. Ma tutto quello che mi esce dalla bocca è un sonoro rutto al sapore di birra.

<<Che schifo, svergognata!>>

Rido piano, poi un poco più forte, infine urlo dalle risate. Ma cos'è che mi sta facendo ridere così tanto? Immagino mia nonna, seduta sulla sua poltrona, ad ascoltare i miei deliri e questo mi fa ridere ancora di più.

<<Dai nonna...>> pronuncio queste parole con la lingua mezza addormentata, <<il rutto non è altro che un singhiozzo al contrario.>>

Detto ciò, comincio a fingere un singhiozzo. Più singhiozzi faccio, più rido. Più rido, più mi sporgo a destra e, in questa danza molleggiante, finisco col cadere stesa sul divano sul quale ero seduta fino a poco fa.

<<Hai bevuto, vero? Ricordo ancora quella domenica in cui ti sei ubriacata con il rhum dei Pocket Coffee.>>

Ricordo. Avevo circa quindici anni e mia nonna aveva invitato a pranzo l'intero albero genealogico dei Fanelli, riuscendo a contattare anche i nipoti degli zii dei miei bisnonni. Per l'occasione aveva comprato una dozzina di scatole di Pocket Coffee, tutte ben conservate al di sopra del mobile della camera da letto, proprio per evitare che io le prendessi. Ma mia nonna non sapeva che avrebbe potuto nascondere i suoi dolcetti fin sul paradiso, io li avrei comunque trovati e mangiati. E così avevo fatto: avevo preso dallo scantinato la scala di mio nonno, ci ero salita su e avevo afferrato sette scatole di Pocket Coffee, tutte mangiate in circa venti minuti.

Non avevo mai bevuto alcolici. Fino a quel momento.

<<Perché hai bevuto?>>

Guardo le cinque bottiglie vuote di Dreher che ho allineato sul tavolo.

<<La birra era per Andrea>> dico, allungando sempre le parole come un ubriaco in un bar.

Aspettate, io sono quell'ubriaco in un bar.

<<E perché le hai bevute tu?>> le parole di mia nonna mi giungono come un rimprovero.

Se ci fosse anche lei qui, a vedere la cucina che adesso mi sta girando attorno, capirebbe che ho avuto una buona idea.

<<Perché Andrea mi ha licenziato in cambio dei soldi dell'altro Andrea>> mentre racconto, mi tocco i polpastrelli dell'indice e del medio, per aiutare a me stessa a distinguere quei due imbecilli degli Andrea.

Scusa se sono grassaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora