36. Compagni di cella

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Appena udì il rumore di passi, Tenko scattò in p iedi e si avvicinò alle sbarre. Vide il manipolo di guardie e capì che stavano portando degli altri prigionieri. Pensò che in una città grande come Theopolis ci fossero anche molti criminali, poi però riconobbe i due prigionieri e rimase senza parole.

Uno dei militari aprì la cella davanti a quella dei due demoni e gli altri spinsero dentro Persephone e Leonidas. Prima di andarsene, un paio di guardie sputarono per terra in direzione degli ex colleghi, dopodiché tutti quanti si allontanarono, ignorando completamente i due eretici.

Solo allora Tenko si concesse un sorriso di scherno. «Ma guarda, sentivate la nostra mancanza?»

Persephone si appoggiò allo spesso muro di pietra e incrociò le braccia, Leonidas invece rimase immobile al centro della cella, ancora troppo scosso per fare qualsiasi qualcosa.

Zabar si avvicinò alle sbarre. «Perché vi hanno arrestato?» Al contrario di Tenko, il suo tono non conteneva né scherno, né disprezzo. «Avete portato a termine la vostra missione.»

«È colpa mia» ammise Persephone dopo un momento di silenzio. «Ho mentito a Horus, e ovviamente lui se n'è accorto. Sono stata una stupida. Mi dispiace, Leonidas. Non pensavo avrebbero accusato anche te.»

«Aspetta, ti hanno sbattuto dentro per aver detto una bugia?» La demone era genuinamente incredula. «Ah! Almeno noi verremo giustiziati per un buon motivo! A proposito: verrete giustiziati o vi hanno solo messo dentro per un po'?»

«Tenko, smettila» la sgridò Zabar.

«Ho mentito a Horus in persona» esalò l'ex inquisitrice. «È un motivo più che valido per giustiziare una persona.»

La giovane spirò con disprezzo. «E allora buona esecuzione!»

Le due donne sembravano intenzionate a non rivolgersi più la parola, ma anche l'ex capitano pareva troppo turbato per aprire bocca: scoprire che Persephone aveva mentito a Horus era stata una sorpresa, eppure non si sentiva davvero sconcertato, non così tanto come avrebbe dovuto. Fin dalla nascita lo avevano educato a seguire ciecamente i dettami degli dei, in quel momento però non riusciva ad accettare la condanna del dio del sole.

L'ex chierico era probabilmente l'unico che vedeva in quella situazione un'opportunità: ora che erano in quattro, forse tutti insieme avrebbero avuto una minima possibilità di scampare alla morte. Unire le forze era la loro ultima possibilità, ma quello non sembrava il momento migliore per parlarne.

Dopo quasi un'ora, un rumore di passi in avvicinamento mise in allerta i quattro prigionieri. Ben presto si resero conto che erano solo due guardie che facevano un giro di controllo, ma in quella situazione era difficile tirare un sospiro di sollievo.

I due uomini si allontanarono senza dire nulla e i quattro furono di nuovo soli. In effetti la sorveglianza non era molto stringente, ma del resto le sbarre e le pareti erano talmente massicce che nessuno, senza la benedizione di un dio, avrebbe potuto penetrarle.

Nel tardo pomeriggio ricevettero l'unico pasto della giornata – una poltiglia informe e puzzolente che fece loro rimpiangere i digiuni nella gelida foresta –, poi venne la notte.

Quando i due demoni erano ormai addormentati, Persephone si fece coraggio e mosse delicatamente il suo compagno di cella. «Leonidas, sei ancora sveglio?»

Lui, sdraiato a terra, si voltò verso di lei. Aveva il volto stanco e lo sguardo abbattuto.

«Volevo scusarmi con te» disse la semiumana a bassa voce. «Ho agito senza riflettere, e ora dovrai pagarne le conseguenze.» Rimase un attimo in silenzio. «Vorrei ci fosse un modo per farti uscire da qui.»

Age of Epic - 1 - EresiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora