Promessa

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Quasi di fronte alla casa di Colette c'era una panchina. Riccardo camminò verso di essa e ci si sedette di peso, affondando la faccia nelle mani.

Finito. Era tutto perduto. Era sicuro che Colette avrebbe passato una serata incredibile con il suo Trevor e lui aveva bruciato l'ultima chance che aveva. Sperare che l'appuntamento andasse male non lo aiutò a sentirsi meglio e rimase lì, da solo, avvolto dal silenzio rotto solo da qualche macchina solitaria.

Non avrebbe richiamato Michael per farsi riaccompagnare a casa. Sia perché non voleva disturbarlo ulteriormente e sia perché si vergognava a tornare da lui sconfitto. Si sarebbe incamminato da solo, un passo alla volta.

Solo che le sue gambe si rifiutavano di muoversi. Passò molto tempo seduto su quella panchina, più di quanto si rese conto. Non aveva più lacrime da versare e le mani sulla sua faccia rimasero asciutte, eppure mantenne quella posizione a lungo. Non si soffermò sull'ora, né a pensare che i suoi genitori avrebbero potuto preoccuparsi e non controllò il telefono per sapere se qualcuno lo avesse cercato. Si lasciò inghiottire dal buio, fino a quando la consapevolezza di aver perso non si espanse per il suo cervello e la disperazione si trasformò in cupa rassegnazione.

<<Riccardo?>>.

Una voce raggiunse le sue orecchie risultando quasi lontana, ma inconfondibile e nitida come un pugno in faccia, che sfondò le barriere del silenzio che Riccardo aveva eretto attorno a sé.

Mentre il suo cuore faceva un balzo nel petto, alzò la testa di scatto voltandosi a sinistra, per scorgere Colette in piedi a pochi passi dalla panchina che lo guardava con un'espressione di evidente stupore e incredulità.

Si fissarono per eterni secondi, in silenzio. Riccardo pensò fosse un miraggio, il frutto della propria immaginazione e non fu in grado di rispondere.

Poi lei parlò di nuovo e allora fu certo che fosse reale.

<<Che ci fai qui?>> gli chiese, sempre con sorpresa e incredulità.

La testa di Riccardo iniziò a lavorare freneticamente. Se Colette era tornata a casa significava o che l'appuntamento era stato un fiasco o che lui era rimasto su quella panchina per ore senza rendersene conto. In ogni caso non c'era tempo per scoprirlo, le circostanze avevano fatto in modo che, alla fine, si incontrassero e non poteva sprecare quell'importante opportunità.

Si alzò dalla panchina e fece due passi verso di lei. Indossava un vestito a fiori a maniche lunghe e degli stivaletti con un filo di tacco; i capelli erano di nuovo legati in uno chignon in cima alla testa. Era incredibile ma non glielo disse.

<<Sono venuto a dirti di non uscire con Trevor>> annunciò imponendo alla propria voce una sicurezza che non possedeva: <<E a dirti che non posso aspettare sabato, né che tu mi faccia sapere. Ma sono arrivato tardi e tu non c'eri già più>> guardò gli occhi di Colette spalancarsi sotto il peso delle sue parole e cercò di sfruttare l'effetto sorpresa per andare dritto al sodo.

Nel suo piano originario, le avrebbe detto tante cose. In primo luogo che gli piacesse, che non riuscisse più a fare a meno di lei, della sua parlantina incessante, del suo ottimismo contagioso. Le avrebbe detto che stare con lei lo faceva sentire bene e che avrebbe voluto starci molto di più. Le avrebbe detto che non poteva sopportare che lei stesse con un altro e che, per quel motivo, si era spinto fino a casa sua per impedire l'appuntamento. Ma non c'era tempo per tutti quei preamboli, per un bel discorso costruito. Doveva giocarsi tutto ora che Colette era in preda allo stupore e non stava reagendo.

Così raccolse tutto il proprio coraggio e non ci pensò più.

<<È un caso che tu mi abbia beccato ancora qui ma già che ci siamo...Dunque scusami>>.

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