Capitolo XXIV Segui il tuo istinto

269 23 66
                                    

La Spinabianca aveva già oltrepassato il 'Golfo delle ostriche', il Faro di Meewa e il 'Promontorio delle lucciole'. Avanzava a velocità spedita lungo il Mare di Fuoco verso le coste dell'estremo Est di Ignis. Era una nave mercantile, ma ben fatta. Sulla vela dell'albero maestro, la più grande, c'era ricamato un serpente aggrovigliato su se stesso, argento e roseo, che risplendeva alla luce. Solo quando i raggi bassi del sole la colpivano nel punto giusto rivelava un disegno nascosto: un giglio perlaceo a cinque petali.

Sulla nave vi erano solo Prescelti, capitano e ciurma compresa.

L'affarista dal cappuccio blu era rinchiuso in una delle stanze sottocoperta con un unico e preciso scopo.

"Avete finito con le domande?", il Prescelto salvato a Cadro, Guy, era con lui da quasi un'ora.

Fissava l'Incappucciato con sguardo annoiato. Erano soli. Per l'ennesima volta quello strano tipo gli aveva chiesto se potesse fargli qualche domanda. Settimane prima, quando era ancora uno sconosciuto su quella nave, Guy aveva declinato la richiesta semplicemente mostrandosi esitante; non sapeva chi fosse quell'uomo, sinceramente non gli importava, ma lo incuriosivano le sue intenzioni. La Spinabianca era piena di Prescelti e ognuno di loro era stato soccorso da quell'uomo in blu negli ultimi mesi. Questo lo convinse che doveva trattarsi di un affarista o del solito commerciante di contrabbando e il fatto che fosse un dominatore aggiungeva disgusto, nient'altro. Eppure, ciò che confondeva Guy era che ognuno su quella nave fosse lasciato libero. Tutti avevano un compito o un lavoro da sbrigare, certo, ma niente manette o catene ai polsi e al collo. In tutti i suoi anni di prigionia, mai gli era capitata una cosa simile. Se fosse stato cresciuto diversamente, come un normale ragazzo, si sarebbe avvicinato ad un altro Prescelto sulla nave per chiedergli spiegazioni o semplicemente cosa ne pensasse del loro padrone, ma Guy era uno schiavo, sapeva qual era il suo posto. Rimaneva solo una domanda a cui non aveva intenzione di rinunciare: perché c'era tanto mistero attorno a quell'uomo?

Non si toglieva mai il cappuccio. A volte, la bramosia di vederne l'aspetto si faceva così insistente da disturbarlo nel sonno, con le ipotesi più pittoresche di deturpazioni e malformazioni. Adesso Guy ignorava ancora il suo nome e cominciava a supporre che forse non l'avrebbe mai conosciuto. Gli altri lo chiamavano solo 'signore' e persino il capitano gli si rivolgeva senza alcun appellativo, cosa davvero insolita visto che sembrava conoscerlo da tempo. Era un uomo strano: se ne stava per i fatti suoi, ma si interessava dello stato d'animo di tutti i Prescelti prigionieri. Il fatto stesso che gli chiedesse di potergli parlare era assurdo. Non che a Guy dispiacesse, anzi, dopo i primi giorni sulla nave capì che con lui poteva permettersi di parlare senza essere interpellato. Trascorsa la seconda settimana aveva persino pensato di porgli qualche domanda in merito a ciò che lo incuriosiva. Ed infine, allentò la stretta attorno al proprio carattere.

Così, dopo quasi un mese di convivenza, Guy mostrava senza repliche un atteggiamento apatico, a volte infastidito, mantenendo però sempre una certa distanza con 'Cappuccioblu', come lo avevano soprannominato lui e gli altri Prescelti. Sì, era senza dubbio diverso da tutti i suoi padroni precedenti. Solo dopo essersi mostrato disposto a rispondere alle sue domande, Guy venne portato in quella cabina. Iniziò ad essere stanco. Dovette parlare di ogni cosa gli fosse capitata: ricordi, avvenimenti, fatti anche frivoli. Era un'insolita richiesta. Il Prescelto come minimo si aspettava di essere messo al lavoro di qualche materiale esotico o qualche cosa del genere. Si scoprì geloso nel raccontare cose appartenenti solo a lui, all'infanzia, quando era tutto diverso e puro. Cosa voleva davvero quell'uomo?

"Non ancora. Mi dicevi di essere nato a Crostarancio", l'Incappucciato era in piedi, le braccia conserte, il volto coperto come sempre.

Guy annuì con freddezza: "A tredici anni, una volta marchiato, sono stato portato a Pontelungo, poi venduto e rivenduto", rispose apatico, sembrava avesse imparato a memoria una rima.

Cronache dei Figli del Cielo - Il Giglio di CenereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora