CAPITOLO XXVIII Decisioni difficili

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Mira si svegliò quando ancora era buio. Si era messa a dormire sulla sponda del laghetto, perciò le bastò sporgersi in avanti per afferrare dell'acqua gelata e sciacquarsi il viso. Non era più riuscita a rimanere sotto l'acero rosso. Ma non dormiva comunque, ovunque si trovasse in quella Foresta. Gli incubi non erano cessati e la figura incappucciata in blu era sempre là ad attenderla. Bevette con avidità, i capelli le si appiccicarono al viso, entrandole in bocca. Li scacciò, ma inutilmente. Le rimanevano addosso, sulle guance, davanti agli occhi, attorno al collo. Basta! Prese il pugnale, agguantò la sua chioma castana e con un colpo preciso ne dimezzò la lunghezza. Ciocca dopo ciocca, ogni piccola treccia rimasta in esse si sciolse.

La ragazza fissò la superficie d'acqua riempirsi di quei fili ed un presentimento si fece strada tra i suoi pensieri. Mosse a malapena una mano, una piccola colonna d'acqua si era alzata già dal lago: era accaduto nel momento stesso in cui lo aveva desiderato. La ragazza fissò sconcertata quella torre cristallina rimasta a mezz'aria, la intimoriva, voleva che crollasse e difatti si disintegrò in schizzi gelati. Il lago tornò piatto. Mira rabbrividì.

Una leggera brezza le accarezzò le dita e, presa dalla stessa intuizione, strinse i pugni, li fece roteare sopra la testa e immediatamente quel lieve vento si trasformò in uno sbuffo violento che sconvolse le cime degli abeti sopra di lei. La ragazza si guardò le mani, impietrita. Qualcosa era cambiato nel suo dominio e non lo voleva. Era troppo intenso, troppo potente. Ne aveva paura. Per la prima volta temette il proprio sangue, lo stesso che aveva protetto con tanta fermezza, lo stesso che le aveva sconvolto l'esistenza. Non era un dono?

Si alzò, prese le pelli, il mantello e se li mise addosso. Faceva molto freddo e doveva mancare meno di un'ora all'alba, dato il chiarore nella parte orientale del cielo. Moore, da compagno fedele, le era rimasto accanto tutta la notte ed era ben sveglio al momento. Mira lo sellò e gli disse di andare a bere ora che poteva. Tutt'intorno vi erano fagotti, sacche di selvaggina, di pesce e di erbe e quando la ragazza le caricò sul cavallo, realizzò davvero cosa stava per fare. Il filo che l'aveva legata a quel posto per tutti quei mesi le si era cucito addosso e all'improvviso si era tramutato in un serpente che le soffocava la gola. Non poteva più restare. Ad ogni respiro, i polmoni le si riempivano di puzzo di sangue e fumo. Non riusciva più a fare nulla, nemmeno piangere.

Le sue vene vennero attraversate da una piccola scossa. Un crepitio di fiamme la fece irrigidire, i pugni serrati già incandescenti. Dai cespugli vicini si avvicinò un vortice di nebbia con al centro due fiammelle violacee. Era uno spirito. Il solito corpo azzurrognolo intrecciato in una sagoma semiumana fluttuava a una spanna dal terreno, immobile.

"Sì, me ne vado. Vi libero del disturbo", esordì Mira tranquillizzandosi e sistemando le varie cinghie sul ventre di Moore.

Lo spirito la fissava con i suoi occhi fatti di fiamme.

"Non posso più restare qui", ripeté a sé stessa in un bisbiglio.

L'essere nebuloso avanzò verso di lei, ma la ragazza non si lasciò intimorire. Finì di riempire l'ultima borraccia, poi la legò alla sella.

"Che vuoi?"

Lo spirito si avvicinò ancora.

Mira cominciò ad irrigidirsi: "Va via!", agitò un braccio ed una folata di vento lo trascinò indietro di qualche passo.

La ragazza rimase turbata per un istante, poi scosse il capo, si mise la faretra dietro la schiena, il pugnale alla cintura e salì in groppa a Moore, dandogli subito un gran colpo di gambe per partire al galoppo. Sfrecciò tra gli abeti e gli agridori con facilità, in direzione dell'unica strada che portava fuori dalla Foresta. Ma attraversare quel labirinto questa volta era diverso. Per ogni albero, fiore o animale in cui era racchiusa almeno una scintilla di fuoco, Mira percepiva un crepitio in tutto il corpo. E fu quella stessa sensazione ad avvertirla di una presenza alle sue spalle. Gridò dallo spavento: di fianco a lei, lo spirito la stava seguendo a gran velocità. Moore si imbizzarrì, affrettò l'andatura, ma l'essere azzurrognolo non li lasciava. Gli occhi di fiamme si avvicinarono famelici, la ragazza evocò una palla di fuoco, la scagliò contro lo spirito che ne fu travolto, tuttavia nel farlo perse le redini e si ritrovò nella polvere. La terra sembrò attutire il colpo, avvolgendola in una culla erbosa. Un' improvvisa fitta al petto le mozzò il fiato. Un bagliore azzurro colorò le sue iridi, la foresta attorno a lei svanì, non era più con la faccia a terra, ma immersa in un luogo vaporoso e pieno di luce. Bastò quell'istante, aveva già dimenticato ogni cosa. La ragazza aveva di nuovo perso il suo nome. Si alzò, il suo corpo affondava tra le nubi dalle sfumature indescrivibili. Quel luogo le ricordava qualcosa.

Cronache dei Figli del Cielo - Il Giglio di CenereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora