Aydan la condusse all'enorme scalinata che portava alla Città Alta. Mira studiò i gradoni per un momento ed erano proprio come li aveva visti in sogno: anneriti e spaccati, ma nell'insieme ancora imponenti. Questa volta però ci misero il tempo dovuto a percorrerli, gradino per gradino. Camminavano fianco a fianco, la stessa andatura e la stessa emozione.
Aleggiava un insolito silenzio tra loro; entrambi erano convinti che appena si fossero congiunti avrebbero fatto domande e preteso risposte, ma ora non sembrava più importante. Il tempo per parlare l'avrebbero preso più tardi, ora c'era un'altra priorità.
La cosa ancora più insolita era che, malgrado fossero due sconosciuti, la presenza dell'uno rinvigoriva l'altra; si sentivano al sicuro e senza vergogna di rimanere a bocca chiusa, erano come due fratelli cresciuti insieme, un rapporto in cui le parole non servono.
Raggiunsero lo spiazzo in cima e anche se ambedue erano preparati alla visione che li attendeva, rimasero bloccati per un istante. Il grigio delle ceneri, lo splendore infranto e la disfatta di tante vite. Aydan aveva imparato a nascondere il suo dolore, lo teneva per sé, lo aveva custodito per sette lunghi anni; l'aveva lasciato trapelare nei momenti di solitudine, quando era troppo debole per camminare a testa alta e la stoffa blu che lo avvolgeva troppo sottile.
Tutto di lui raccontava quel dolore: il suo viso, il suo polso destro, il suo sangue. E quando si ritrovò davanti alla fonte di ogni sua ferita fu sul punto di cedere. La realtà spudorata gli stava rigettando in faccia quello che non l'aveva ancora abbandonato, ciò che sarebbe sempre stato suo. Mira percepì tutto questo, si limitò ad ascoltare il silenzio di quell'agonia restandogli accanto.
Un crepitio del terreno li fece sussultare.
"Lo senti?", domandò lei.
"Sì. Vieni, è tempo di qualche risposta."
Attraversarono lo spiazzo fino a raggiungere la corte di pietra, o ciò che ne rimaneva. Gli occhi di Mira si illuminarono alla vista dei quattro agridori: sapevano di casa. Appoggiò le mani sullo stesso tronco toccato in sogno e percepì la vita, flebile, ma presente. In centro ai pilastri smussati, eccoli lì, i Tre Signori del Cielo. Li attendevano, maestosi e intatti nella loro antica gloria.
Erano di altezze diverse, non superavano i due metri; non erano su un rialzo, ma i loro piedi poggiavano sul suolo di marmo, allo stesso livello; l'unica cosa che li divideva dal resto era quell'incisione nelle piastrelle. Mira la guardò con bramosia: finalmente avrebbe potuto ammirare quel segno intravisto in una delle sue visioni. Era un giglio, enorme e finemente delineato nella solida pietra.
"Che cos'è?", Aydan aggrottò la fronte e si piegò su quei solchi intrisi di cenere.
"L'ho veduto in sogno", cominciò Mira. "Sembra che l'incendio che causò la distruzione di questa città abbia portato alla luce questo disegno."
L'uomo ci passò sopra le mani: "No. Nessuno dei Guardiani aveva mai alluso a qualcosa del genere. Non ne sapevo l'esistenza", la voce gli tremava; era sconcertato.
"Te l'ho detto: si è rivelato dopo. Era insito nella roccia e solo il fuoco lo ha fatto emergere", nel sentirsi proclamare quelle parole, Mira pensò potesse essere un'ottima metafora di ciò che le era accaduto.
Aydan rimase nel suo silenzio contrito. La ragazza, invece, si concentrò sui visi di pietra e si ritrovò a pensare se quelle fossero state realmente le Loro sembianze. Come aveva constatato durante la visione, gli occhi di ciascuno erano rivolti in tre direzioni diverse: l'uomo a sinistra guardava a nord-est; la donna a destra a nord-ovest; mentre quella al centro puntava dritta verso di loro, per l'esattezza le sue pupille erano fisse in quelle di Aydan.
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Cronache dei Figli del Cielo - Il Giglio di Cenere
FantasyLibro I. Mira vorrebbe essere una ragazza qualunque, ma il suo stesso sangue glielo impedisce. In lei crepita un Fuoco appartenuto ad antiche divinità, o almeno così dicono le Leggende. Ciò che desidera è vivere lontana da un mondo che la ripudia, m...