CAPITOLO III Piogge primaverili

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Quella mattina Mira era andata al ruscello speranzosa. Dopo decine di tentativi, finalmente era riuscita a fabbricarsi una lancia corta ideale per pescare. Ne era molto soddisfatta e con quell'aiuto, era sicura che avrebbe messo a tacere il continuo brontolio allo stomaco.

Tornò al suo angolo di foresta a mani vuote. A piedi nudi, i calzoni arrotolati fin sopra le ginocchia, ma comunque fradici, la sottile, fallimentare asta di legno nella mano. Intrecciò le dita e petali scarlatti fecero capolino da sotto le braci, come bulbi neonati tra la terra. Con un sospiro irritato, Mira gettò via la piccola lancia, si sedette ai piedi dell'acero sotto cui dormiva e mandò giù un boccone di una radice tanto amara quanto la delusione nelle sue capacità di pescare. Guardò Moore, che invece trovava particolarmente deliziosi quei ciuffetti d'erba. Un improvviso sibilo la fece voltare di scatto. La brace borbottava diversamente dal solito. Mira non ne capì subito il motivo, ma poi qualcosa di piccolo e freddo le cadde sulla fronte, una goccia; un'altra sulla guancia, un'altra ancora... Il susseguirsi di un rumore secco e sordo, simile a piccole dita sulla pelle di un tamburo, avvolse l'intera foresta. I folti rami dell'acero sopra di lei la riparavano, ma di certo non erano sufficienti. Mira rimase seduta, il capo appoggiato al tronco umido. Gioì dell'acqua sul proprio corpo come un qualsiasi filo d'erba della Foresta. Tutto mutava quando pioveva. Il terreno si scuriva, rilasciava un odore caldo e dolciastro che inebriava i sensi; i colori freddi dei pini prendevano il sopravvento su quelli aranciati degli agridori; regnava un silenzio surreale, la parola era riservata a quelle dita d'acqua, al loro percuotere incessante.

Il temporale durò una manciata di minuti, le nuvole si riaprirono portando lontano lo scroscio della pioggia. A brontolare questa volta fu lo stomaco di Mira. Senza attendere ulteriormente, la ragazza si rimise i calzari, prese frecce e faretra e sparì dietro gli alberi. Era un posto molto ricco di selvaggina e quando riusciva a centrare il bersaglio rimediava conigli o rospi, ma i suoi problemi con l'arco persistevano, stava facendo pratica. La primavera l'aveva raggiunta anche lì. "Speriamo porti solo il profumo dei fiori", diceva a sé stessa. Da tre anni a quella parte le aveva portato solo sfortuna. Ma quel posto le dava pace, gli incubi erano diminuiti. In realtà era solo una fragile serenità. Le piaceva fingere di essere parte integrante della Foresta, come uno di quegli alberi dalle venature incandescenti. Si sentiva accolta dalla terra stessa, la sosteneva in ogni suo passo. La linfa vitale della Foresta era fuoco puro e lei era solo un altro bocciolo che si nutriva di quel calore. Stava bene.

Sì, forse quell'anno sarebbe stato diverso.

Uno scricchiolio alla sua destra la fece agitare. Era un passo lento e leggero. Mira prese una freccia da dietro la schiena e incoccò. Un altro flebile crepitio le tolse ogni dubbio, tese l'arco, si gettò tra i rami pronta a scoccare... ciò che partì non fu la sua freccia, ma un grido netto e acuto. Fece un balzo all'indietro dallo spavento e le sue dita si sciolsero sull'impugnatura togliendo tensione alla corda. Davanti a lei c'era un ragazzo che puntava l'arco verso un cespuglio lì di fianco. Lui la guardò per un istante; il suo mantello verde si perdeva tra i colori che lo circondavano. Col suo grido improvviso, Mira gli aveva fatto scappare la preda, ma in compenso uno sbuffo di semoli si levò dagli alberi vicini. Lo sconosciuto puntò la freccia in alto e pochi secondi dopo, un volatile dalle piume verdastre cadde vicino ai suoi piedi. Si chinò a prenderlo, lo mise in una sacca e sparì tra gli alberi, senza rivolgere un secondo sguardo a Mira, rimasta immobile per tutto il tempo.

"Se non altro posso starmene ancora qui, tranquilla. Non sembra importargli di me", si disse una volta tornata al suo angolo di foresta. "Spero sia solo di passaggio", confidò a Moore accarezzandogli la criniera. "Il buio cala ancora presto, ma va bene così."

Evocò una lingua di fuoco che si mise a danzare sul palmo della mano e tra le dita. La voce di una donna prese vita nei suoi ricordi, come un eco lontano.

Cronache dei Figli del Cielo - Il Giglio di CenereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora