ventiquattro.

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Punto di vista di Harry

"Che ore sono?"

"Le undici in punto" risposi dopo aver abbassato lo sguardo sull'orologio che ho fatto mio. Avery abbassò lo sguardo su di me con espressione triste, e vidi la paura negli occhi di lei. Non voleva ammetterlo, ma lo capivo.

"Abbiamo un'ora" mormorò, la sua voce era bassa. Annuii e mi allungai verso lo zaino sul ciglio del letto, e vi estrassi una barretta di cioccolato.

"Pensavi che mentissi quando parlavo della riserva di cioccolato?" domandai con fare giocoso, ammiccando con le sopracciglia nel tentativo di risollevarle l'umore.

Ridacchiò, la mia tattica stava funzionando. Adoravo vederla felice. Mi rendeva gioioso.

"Puoi mangiarla tu, Harry" rise lei, e si avvicinò a me sul letto. I suoi capelli si agitarono, ma la bandana che le avevo stretto attorno alla testa restò ferma—come prevedevo.

L'aprii con fare attento, e la divisi a metà. Alzai lo sguardo su Avery con fare cauto, e vidi che i suoi occhi si accesero.

"Che c'è?" domandai, confuso dal perché fosse così entusiasta. Forse aveva solo fame. Non lo sapevo.

"Se solo potessi spezzare così l'osso del collo di Jonah".

Le sue parole mi fecero ridacchiare, ma mi bloccai quando mi immaginai di farlo. Non aveva importanza quanto Jonah fosse spietato e terribile, sotto sotto nel mio cuore non volevo infliggergli tale dolore. Mi fece pensare a Sophia, la ragazza che avevo dovuto uccidere sulle scale. Non ci aveva nemmeno visti arrivare. Non era giusto. E Grant? Orion? Candy? Luke?

"Stai bene, Harry?" mi domandò Avery, distraendomi dai miei pensieri oscuri. Annuii con fare esitante, poiché in realtà non lo ero. Temevo ciò che sarebbe accaduto nelle successive 24 ore. Per una volta nella vita ero spaventato.

"Non vedo l'ora di mangiare questa barretta" forzai una risata, ed Avery fece lo stesso. Fra noi due la cosa si era fatta imbarazzante a causa dei miei pensieri. Sapevo che lei era al corrente di ciò che stavo pensando. Avery non voleva però parlarne.

Presi il primo morso, era buonissimo, adoravo il modo in cui si scioglieva nella mia bocca. Il gusto era così puro, a differenza di ciò che avevamo mangiato in quest'edificio che sembrava praticamente una prigione. Ero grato del fatto che lo stessi mangiando, era così buono.

"È il modo giusto per assaporare il cibo, Haz" scherzò Avery. Le guardai le mani per un attimo, reggeva la carta vuota. Lei aveva già finito, mentre io avevo preso solo il primo morso.

"Mi era mancato il cioccolato" sospirai. "È il mio dolce preferito".

Avery sorrise con un'espressione empatica in viso. "Vedo".

Seguì un breve silenzio fra di noi, ma le mie azioni lo interruppero quando mi allungai verso un coltello che avevo riposto nella mia cintura. Avery non si mosse nemmeno, era un segno che si fidava di me. Qualcosa che adoravo.

"Ti sei dimenticata questo" le dissi. Allungai la mano che stringeva il coltello, e lei lo prese senza esitare nemmeno un momento. La guardai esaminarlo da vicino, poi le si formò un sorriso triste in volto.

"La firma per Carmen" trasalì lei. Mi limitai ad annuire. Era tutto ciò che avevo la forza di fare a quel punto.

"Come faceva a significare così tanto per te?" mi domandò. Finii la barretta e gettai la cartaccia a terra. Molto presto non avrebbe avuto importanza se la stanza fosse sporca e disordinata.

"Perché all'inizio la volevi molto" risposi sinceramente, e finalmente un sorriso onesto si fece strada sul mio volto. Avery mi rendeva felice, il che la diceva lunga, considerata la quantità di tempo che avevamo trascorso insieme.

"E so che la vuoi ancora. Te ne sei solo dimenticata".

Avery annuì, confermando la mia intuizione. Voleva veramente quel coltello per sua sorella, il che significava che lei aveva molta importanza per lei. Allora perché non le piaceva la sua famiglia?

Decisi di tenere la bocca chiusa al riguardo.

"Harry, c'è qualcosa che voglio veramente dirti" insistette, e combattei il bisogno di portarmi una mano alla fronte. Non aveva senso che urgenza avesse nel dirmi qualcosa. Qualcosa dentro di me però non voleva sentirlo. Non ci serviva un altro problema, erano sufficienti le informazioni di cui eravamo già in possesso.

"Avery, ti prego" l'implorai. "Possiamo parlarne un'altra volta".

"Harry, ti prego" imitò le mie parole, il che mi fece sentire a disagio. Era chiaro che fosse arrabbiata con me. Avrei voluto non farla sentire così. "Lascia che ti dica che quanto ti—"

"Fermati" la interruppi prima che potesse finire la frase. Mi venne in mente qualcosa che avrebbe potuto dirmi, ma la allontanai subito. Non era possibile che mi amasse. Ci eravamo incontrati meno di una settimana prima, sarebbe stato troppo affrettato.

Trascorremmo la mezz'ora seguente in silenzio. Avery era arrabbiata con me, lo sapevo. Voleva dirmi ciò che pensava, ma io gliel'avevo impedito. Forse desiderava di più dirmi ciò che pensava rispetto al dare il mio autografo a sua sorella, Carmen.

"Mi mancano i miei genitori" disse lei dopo un po'. Abbassai lo sguardo e vidi che erano le 11:59. Mancava un minuto all'inizio della fine.

"Anche a me mancano i miei" ammisi. Speravo che Anne e Robin, persino Des, mi stessero guardando. Avrei preferito che fosse stato Des a guardarmi, rispetto a Robin.

Si fecero spazio nella mia mente immagini di Jonah che mi spara. Oltre ad altre terribili scenari in cui sarei potuto morire.

"Mi manca Carmen".

Era come se potessi sentire delle rotelle. Non nella mia mente, non nella mia immaginazione. Erano reali, stava succedendo qualcosa. Stava accadendo qualcosa. Pregavo che non fosse ciò che pensavo.

"Mi manca Gemma".

Udii qualcosa ringhiare. Sembrava un misto fra un cane ed una tigre. Ma non avrebbe avuto senso.

"Amo la mia famiglia" pianse Avery. Le sue lacrime mi fecero venir voglia di avere un crollo mentale, ma dovevo restare forte per entrambi. Se entrambi ci fossimo messi a piangere ed avessimo avuto una crisi, Avery non si sarebbe sentita molto bene al riguardo.

"Anche io amo la mia".

"Io ti—" le prime due parole della frase di Avery fu tutto ciò che sentii, dato che il resto venne bloccato da un ruggito assordante. Entrambi cademmo dal letto, a terra, e gli occhi tristi di Avery mi guardarono dritti nell'animo. Ma lei stava sorridendo.

"Io ti—" ricominciò lei, ma in quel momento l'orologio sul al mio polso emise un bip segnalando la mezzanotte. Gli stipiti della porta iniziarono a crollare uno alla volta. Udimmo poi un forte tonfo.

La porta venne abbattuta, cadendo a terra. 

murder house |ITA|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora