prologo.

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Punto di vista di Harry.

"Un'altra vipera, per favore" dissi con fare stordito. I primi shot stavano già avendo un effetto negativo su di me, ma sfortunatamente non me ne importava assolutamente niente.

Era una brutta cosa.

Molto, molto, molto brutta.

Perché avevo lasciato la band? Perché avevo fatto quella mossa che aveva fatto in modo che la carriera finisse per sempre?

Zayn mi aveva sempre odiato. Era fidanzato, quindi perché tutti si comportavano come se fosse stata colpa mia? Dopo il loro matrimonio ci saremmo comunque sciolti. Agli altri piaceva farmi incazzare e basta?

E Niall—aveva un bambino. Era quindi colpa mia al cento per cento se gli One Direction non esistevano più? Non credo.

I miei pensieri distratti ed avari avevano fatto in modo di farmi compiere azioni impensabili, ed ora i miei soldi stavano diminuendo giorno per giorno. Avevo bisogno di soldi in fretta o avrei dovuto ricominciare a cantare in strada.

"Ecco" il barista mi avvicinò un bicchiere, ed il drink ondeggiò nello stesso, quasi in modo dissennato come i miei pensieri.

Guardai il barista per un secondo negli occhi; non mi sorpresi quando vidi Ed. Non distolse lo sguardo mentre riempì un altro bicchiere con ciò che sembrava vodka.

"Harry" Ed mi rivolse un ghigno. I pensieri negativi troneggiavano imperterriti nella mia mente, gli rivolsi un'occhiata ed ingoiai il drink. L'alcol mi fece bruciare la gola, ma il dolore si fece inesistente nel giro di un istante.

"Ciao, Ed".

Mi deluse quanto il mio tono di voce risultò grave e basso, come se fossi un uomo anziano appena tornato dal regno dei morti. Il mio umore e la mia mentalità avevano preso il sopravvento, i cui effetti penetrano a fondo nell'anima.

Il mio vecchio amico scosse il capo con un piccolo sorriso, e colsi l'opportunità per depositare una banconota da venti dollari sul bancone. Inarcò un sopracciglio con fare sospetto, come se fossero finti. Sapevo che cosa stava per dire anche prima che aprisse bocca.

"Strano" Ed prese la banconota e l'espose alla luce per esaminarla con cura. Gli rivolsi un'occhiata d'avversione in risposta, il suo disgusto mi snervava. "Le banconote che mi dai tu sono solitamente molto nuove".

"Sta zitto" sbottai. Ed era un tipo molto diretto, ed io in quel momento ero molto incazzato. "Ho pochi soldi. Sarò presto al verde".

"Di già?" Ed scoppiò a ridere. Mi feci violenza per non picchiarlo seduta stante. Mi ci sarebbe voluto un istante. "Amico, hai bisogno di soldi".

"Esatto" ribattei a denti stretti. Ed aveva finalmente detto una cosa sensata, ignorando il fatto che era qualcosa di completamente ovvio. "Hai qualche idea?"

Fece spallucce e mi porse un quotidiano. Non capii come mi potesse aiutare, ma non stavo pensando lucidamente, quindi rivolsi l'attenzione all'oggetto. Lui mi sottrasse il bicchiere e lo gettò nel lavandino.

"Facile" sussultai al forte rumore. Al che seguì una risata, molto probabilmente guidata dall'alcol che mi scorreva nelle vene.

Ed alzò gli occhi al cielo. Non mi resi conto di quanto sembrassi sciocco. Un'ex pop star che si ubriaca in un bar della zona. Non è così che tutte le star dimenticate migrano verso la pazzia? Non volevo finire come loro.

Con ciò in mente, analizzai il quotidiano con fare disperato. La mia soglia dell'attenzione era già calante, non sarei stato in grado di leggere ogni articolo in cerca di un'opportunità economica.

Poi lo trovai. La mia ancora di salvezza.

"Casa degli Omicidi?" domandai con fare sospetto, sperando che Ed sapesse di che cosa si trattava. "In che cosa consiste?"

Ed scosse il capo. "No, amico. Non farlo".

Scoraggiarmi fu la sua scelta peggiore, poiché mi fece desiderare solamente di farlo. "Come mai?" domandai appoggiandomi al bancone. Il mio scarso equilibrio mi fece scivolare, ma mi salvai all'ultimo momento.

"Eh".

Mi faceva male la testa. Mi sentivo come se stessi galleggiando, ma non sembravo farlo abbastanza in alto per compensare il peso del mondo sulle mie spalle.

"Lo leggo dopo" dico, mettendomi in piedi a fatica. Ed emise una breve risata, guardandomi inciampare.

Non mi disse nient'altro. Non gliene feci una colpa. Ero ubriaco marcio, e nemmeno io avrei voluto aver a che fare con me stesso in questo momento.

Forse era il mio stato di ebrezza—l'alcol che mi scorreva nelle vene influendo sul modo in cui penso e parlo—o forse la disparità della situazione.

Sapevo però una cosa per certo, ovvero che sarei stato un partecipante alla Casa degli Omicidi.

Punto di vista di Avery

Non è che eravamo poveri. Non lo eravamo.

Era che ci avrebbe fatto comodo un po' più di soldi. L'introito dell'americano medio non è tristemente abbastanza.

La ritenni una coincidenza quando venne mandata alla TV la pubblicità di un reality chiamato Casa degli Omicidi.

La nostra famiglia si trovava riunita attorno allo schermo piatto, stavamo guardano Family Feud, quando improvvisamente apparve una scritta rossa con del sangue colante.

"Benvenuti alla meravigliosa e tristemente famosa Casa degli Omicidi, un reality in cui i nostri partecipanti combattono fino alla morte mentre risiedono in una gloriosa villa, nel tentativo di vincere cento milioni di dollari e di aggiudicarsi i possedimenti delle vittime" disse una voce. Sembrava che un uomo sovrappeso stesse parlando molto velocemente, come se avesse avuto uno spazio molto limitato per la pubblicità ed avesse dovuto farci stare l'annuncio.

"È terribile" commentò mia madre, Sadie, coprendosi la bocca. Ci ero abituata. Lei riteneva tutto terribile. Il reality non sembrava assolutamente male. Inoltre un centinaio di milioni di dollari ci avrebbero fatto comodo.

Carmen, la mia fastidiosa sorella maggiore, cambiò canale. "Ho sentito che Harry Styles parteciperà" mormorò.

"Chissenefrega" mio fratello scoppiò a ridere. "È una meteora".

"Tu sei una meteora" ribattei. Non seppi perché, ma mi venne da difendere una celebrità che non mi conosceva nemmeno. Sembrava carino, ma le sue decisioni erano state malsane e non ponderate.

"Che c'è, vuoi partecipare al reality?" domandò mio padre. Mi accigliai, considerando l'idea per un momento. Non avevo ciò che serviva per vincere. La mancanza di esperienza e paura della morte mi fermarono per un momento, ma poi mi sovvenne l'obiettivo dei soldi.

"Ci dormirò su" dissi, alzandomi in piedi. Seguì poi uno sbadiglio. Si trattò di un mezzo tentativo di disturbare e far preoccupare la mia famiglia, perché sapevano di non potermi controllare. Avendo ventun anni non ero più il loro pupazzetto. Volevo prendere parte al reality, sarei potuta uscire in quel momento ed iscrivermi.

Carmen mi rivolse un'espressione divertita. Non mi diede fastidio più di tanto, e nel caso in cui avesse pensato il contrario avrebbe avuto torto. "Sei pazza".

"Sei fastidiosa".

Corsi verso la mia stanza senza aggiungere altro.

Beh, la stanza che condividevo con Carmen.

Non sapevo perché, ma il pensiero del reality show continuava ad attirarmi. S'insinuò nella mia mente l'immagine della mia vittoria, dello spaccare le teste dei partecipanti contro il muro ed accoltellarli con oggetti domestici. E soprattutto, i cento milioni di dollari.

Non sono mai stata una ragazza violenta, ma in qualche modo tale scenario mi risultò allettante.

Una piscina al coperto, una stanza solo per me, un cellulare—i lussi di cui avremmo potuto fruire io e la mia famiglia erano infiniti.

Combattere fino alla morte non sembrava poi così male.

Avevo deciso.

Avrei partecipato alla Casa degli Omicidi. 

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