murder house |ITA|

ventisette.

Punto di vista di Avery

Graie agli sponsor del programma potei prendere un treno per tornare a casa. Uno di quei treni con cucine, camere da letto ed una sala cinema. Ma tristemente non lo sentivo come la mia casa. Durante il gioco avevo iniziato a pensare che le cose fra me e Harry sarebbero andate bene. E poi era morto. Come aveva potuto farlo? No, come aveva potuto farlo Jonah?

Sembrava che i miei giorni che avevano portato al mio ritorno a Louisville fossero colmi di lacrime vuote e disperazione a non finire. Rivolevo Harry. Volevo che restasse.

Non potevo però ritornare indietro nel tempo.

Circa tre giorni più tardi, il treno si era fermo ad una piccola stazione accanto a Dixie Highway. Fortunatamente vivevo proprio dietro l'angolo. Nel scendere dal treno una degli assistenti mi afferrò per il braccio. Scommetto che la spaventò il mio volto sporco di mascara. Indubbiamente avrebbe spaventato anche me.

"Tutti i possedimenti dei perdenti verranno portati con il prossimo treno" mi disse. Cercai di ascoltarla, ma mi fischiavano solamente le orecchie. Tutti i miei sensi erano inerti, tranne la mia abilità di pensare a Harry.

"Non sono perdenti, signora" cercai di sembrare gentile, ma le mie parole sembravano forse deliranti. Ero già un disastro, ma quando quella donna lo aveva chiamato perdente aveva superato la linea che avevo tracciato quando mi aveva afferrato per il braccio.

"Beh, troverà la loro roba al municipio. Lì potrà valutare ciò che vuoi e ciò che non le interessa".

Scossi il capo in disgusto. Chi poteva volere ulteriori ricordi di un'esperienza che forse mi aveva traumatizzata per il resto della vita? Sapevo per certo di non voler nulla che mi ricordasse del mio amore morto.

"Non voglio un cazzo di niente, signora!" urlai. Dalla furia schiaffeggiai la sua mano rugosa con la mia libera. Inizialmente rimase scioccata, ma fortunatamente mi lasciò prendere la mia borsetta e scendere dal treno di corsa.

"Fa' in modo di andarci" la sentii dire prima di correre via dal treno, e dalla stazione, e da tutto quanto tranne che dai miei problemi. In realtà mi stavo dirigendo verso un problema. Casa mia.

Mi ci vollero circa dieci minuti di corsa per arrivarci. Avevo ripreso a piangere. Dei ricordi delle fossette di Harry che mi sorrideva mi pervasero la mente. Mi dovetti sedere per riprendere fiato, poiché temevo che sarei svenuta.

Bussai alla porta una volta, poi due volte, poi tre. Mi aspettavo che Carmen avrebbe aperto la porta e mi avrebbe sputato nei capelli. Forse mia mamma avrebbe aperto e mi avrebbe abbracciata. Mi sarebbe andata bene qualsiasi cosa che mi avrebbe distratta dal dolore che stavo provando.

Nessuno aprì.

Andai quindi verso la porta posteriore, alla quale bussai. Nessuno aprì. Non potevano essere usciti, dato che le auto erano tutte nel vialetto. C'era qualcosa che non andava.

"Mamma?" dissi, nonostante era ovvio che nessuno mi potesse sentire. "Papà?"

La mia ultima spiaggia fu sollevare il tappetino ed utilizzare la chiave di riserva per aprire. Entrai cautamente in casa. Udii subito qualcuno piangere.

"Mamma?" dissi, più forte. Le mie scarpe da ginnastica produssero un suono stridulo quando mi affrettai nella stanza in cerca della mia famiglia.

Trovai mamma, papà e Carmen che piangevano in salotto. La televisione era accesa, e anche il camino. Ma mio fratello Spencer non era nei paraggi.

"Ehi..." dissi lentamente. Sia mia madre che Carmen avevano il viso sporco di trucco, come me. "Dov'è Spencer?"

Mamma alzò lo sguardo su di me, e vidi la tristezza nei suoi occhi. In quel momento seppi che c'era qualcosa che era andato terribilmente storto.

Mi indicò di raggiungerli, ma il suo gesto venne spezzato da un singhiozzo. Papà l'abbracciò stretta e sembrò fermarsi, ma non riusciva ancora a parlare. Mi sentivo paralizzata. Non sapevo cosa fare o cosa pensare.

Fortunatamente Carmen parlò per mia mamma.

"Avery, penso che sia meglio che ti siedi".