Capitolo 13

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Nemmeno io ho idea di che cosa sto facendo, ma le mie gambe e il mio cuore hanno deciso per conto loro, e così sono sulla metropolitana ormai deserta di New York.

Lo so: ragionandoci a mente un po' più lucida e soprattutto lontano da mia madre, riconosco che quello che sto facendo è folle.

Dopo quello che mi è successo a San Francisco, non pensavo che sarei più stata capace di seguire il mio cuore, di non badare a che cosa penso sia giusto e cosa sbagliato.

Con Cole - adesso riesco finalmente a nominarlo senza scoppiare a piangere - ero stata capace di lasciarmi andare.

Lui mi ha ingannata, mi ha usata, ma perché devo dare per scontato che tutte le persone abbiano intenzione di fare la stessa cosa, senza lasciare il beneficio del dubbio?

So che sto andando contro a ciò che Violet mi ha detto, fidandomi dei ragazzi della scuola, ma perché non posso essere io stessa a decidere che cosa ne penso?

È scritto da qualche parte che i pareri riguardo una persona possono solo essere oggettivi?

Beh, anche se fosse, non mi importa.

Vorrei che in parte potesse farlo, vorrei che fossi abbastanza forte da impedire a me stessa di lasciare che le persone si prendano gioco di me, ma la verità è che non lo sono.

Non sono abbastanza forte. Forse non sono abbastanza intelligente, o magari intuitiva, che cosa ne so. Ma non ci riesco.

Prima di Cole, sono sempre stata la ragazza che cercava il buono nelle altre persone, che si innamorava nel giro di due secondi netti, e non voglio che quello stronzo cambi questo mio modo di essere così radicalmente.

Scendo alla fermata, sperando sia quella giusta, e quando sono per strada noto che il sole sta tramontando all'orizzonte.

Quando ero a San Francisco, guardavo il tramonto ogni giorno in riva all'oceano, che fosse con i miei amici o magari con mia nonna paterna, che tanto amo.

Perché ho smesso di farlo?

Inizio ad incamminarmi, nella speranza di poter ricordare la strada e non perdermi in mezzo ad un posto sconosciuto.

Potrei usare google maps, lo so, ma sono certa che mia madre, mio fratello e mio padre mi staranno tempestando di chiamate, e io non ho intenzione di rispondere a nessuno.

Non appena mi sembra di intravedere la casa giusta, faccio un piccolo salto di gioia praticamente in mezzo alla strada, e i pochi passanti si voltano per guardarmi come se fossi totalmente fuori di testa.

Mi avvicino con riluttanza alla porta d'ingresso, e dopo averla fissata senza uno scopo per qualche istante, suono il campanello.

Mi passano in fretta per la mente tutte le cose che potrebbero succedere, a cui onestamente non avevo pensato prima di suonare al campanello di casa Wilson.

Di una cosa sono certa: per una buona volta, io so che cosa fare, e non mi tirerò indietro.

Ad aprire la porta è Jacob, con i capelli spettinati e gli occhi assonnati, segno che probabilmente si è appena svegliato.

Quindi niente Isaac quando sono andata via?

Okay, devo assolutamente cercare di non pensarci, se davvero ho intenzione di lasciarmi andare come vorrei.

"Allie, che cosa ci-" lo interrompo prima che possa fare troppe domande e talvolta farmi cambiare idea, gli circondo il collo con le braccia e azzero la distanza tra le nostre labbra, senza stranezze o giri di parole.

Innamorata di uno stronzoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora