Capitolo 47

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Come al solito il weekend passa troppo in fretta e senza nemmeno che io me ne accorga è già lunedì. E Jacob non si fa sentire dalla sera in cui ho incontrato sua madre e ho scoperto delle sue adorabili sorelline.

Ho la netta sensazione che questo mio incontro con le gemelle lo abbia fatto sentire in qualche modo violato, e non saprei in che modo risolvere la situazione: di certo non si poteva aspettare di tenermele nascoste per sempre, e in ogni caso non capisco che cosa cambi. So di loro e le trovo tra le bambine più adorabili che io abbia mai visto. Cosa c'è di male?

Entrando in classe lo trovo lì, seduto al suo banco nella sua solita bellezza disarmante. Gli occhi azzurri sembrano ancora più grandi e profondi del solito, i capelli sono spettinati ed è vestito in modo così semplice che non riesco neanche a spiegarmi come faccia a risultare così bello. Una tuta chiara e una maglia bianca con qualche stampa, ed è bello come se fosse pronto per sfilare per Tom Ford.

In classe non c'è quasi nessuno, così decido di cercare di sondare un po' il terreno.

Vado ad appoggiare lo zaino sul mio banco e poi mi avvicino a lui, cauta, andando a posizionarmi tra Jacob e il banco, su cui mi appoggio con il sedere.

Lui alza quei magnifici occhi sui miei e mi guarda. Mi trapassa l'anima.

"Ho fatto qualcosa di male, J?" Chiedo, sperando che quel nomignolo possa addolcirlo un po': di solito gli piace quando lo chiamo così. Beh, soprattutto se poi finiamo a letto insieme, ma comunque gli piace.

"No." Dice lui di getto, con un tono fin troppo tranquillo.

È evidente che non voglia darmi spiegazioni. Con questo "no" crede di aver riparato giorni in cui non si è fatto sentire nemmeno per sbaglio. Oltretutto, è chiaro che ci sia qualcosa di strano in lui, solo non capisco che cosa.

Prendo un respiro profondo e cerco di ragionare in maniera lucida.

"Vieni con me." Esclamo di punto in bianco, andando a recuperare il mio zaino e prendendolo poi per mano per trascinarlo fuori dalla classe ancora quasi deserta.

Lui è perplesso, ma mi segue senza una parola.

Attenti che non ci sia nessuno in segreteria o al centralino della scuola, riusciamo ad uscire senza essere colti in fragrante. Passiamo dal giardino sul retro della struttura e raggiungiamo in fretta il parcheggio, ormai pieno delle macchine degli insegnanti e degli studenti più grandi.

"Sei in macchina?" Chiedo.

La mia idea non era certo quella di andare a parlare in macchina, ma non è che io conosca grandi posti in cui poter andare a parlare con un minimo di privacy, qui in città.

"Perché?" Domanda lui, senza neanche rispondere alla mia, di richiesta.

Dio, cercava davvero di potermi nascondere che fosse successo qualcosa, con questo comportamento? Anche un cieco sarebbe capace di accorgersi che in questo momento è peggio di un cane bastonato.

"Volevo un posto per parlare senza essere circondati di persone." Spiego, sperando che lui non abbia altre domande stupide.

Per la prima volta da stamattina lui annuisce e si incammina verso la sua macchina.

"Se non hai troppa fretta, conosco un posto." Suggerisce, e considerando che ormai abbiamo detto addio alla giornata scolastica - cosa per cui tra l'altro dovrò fare i conti con mia madre più tardi - decido di acconsentire.

Ci spostiamo dal centro di New York per dirigersi verso la periferia a nord-ovest, verso Newark. Il viaggio dura poco meno di un'ora, e Jacob accosta l'auto una volta arrivati ai piedi di una lunga distesa di colline, praterie e alberi. Di certo qui la privacy non mancherà. Un cartello stradale mi suggerisce che siamo a poche miglia da Fairfield.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 07, 2023 ⏰

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