3. Il bracciale

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Tornai a casa frustrato; le lezioni di recupero di matematica erano state inutili, come al solito. C'erano troppi studenti, a quanto pare, quindi non c'era nessuno che potesse seguirmi "individualmente" (così diceva l'insegnante), dunque dovevo "impegnarmi da solo e chiedere in caso di necessità".

"Da solo posso farlo anche a casa!" avrei voluto urlarle, irritato e frustrato, davanti a quelle x e y che per me non avevano nessun significato. Così avevo passato il tempo a fissarle, avevo anche domandato, ma nulla. La professoressa non era proprio una persona tranquilla e paziente, e puzzava un sacco. Era uno strazio concentrarsi.

Non potevo permettermi ripetizioni.

Mi gettai sul letto, non sapevo se piangere o incazzarmi.

"Maledetta matematica!" gridai, sapendo che in casa c'eravamo io e il gatto, "e non c'è nemmeno niente da mangiare in questa fottuta casa! E' sporco devo pulire! Ho fame dannazione!" lanciai un cuscino fuori la porta, per poco non presi in pieno il gatto.

"Winston, non guardarmi così", il mio gatto, marrone a macchie nere, mi fissava incuriosito. Non era spaventato. "Sono furioso. Non capisco matematica, non c'è niente da mangiare perché devo fare spesa, la casa è sporca e in disordine e puzza..." mi fermai, "aspetta, puzza? Cos'è questa puzza?"

Corsi in cucina. Il fornello aveva preso fuoco, e aveva beccato in pieno la pezza che avevo lasciato sul bancone.

"Cazzo!" cominciai a urlare. Come era potuto succedere? Riempì una bacinella d'acqua e la lanciai sulla pezza infuocata, senza smettere di urlare e imprecare. Ero terrorizzato e ancora non si spegneva. Ne lanciai una seconda e a quel punto si spense.

"Oh porca troia..."

Mi accasciai al pavimento e strinsi il gatto fra le braccia. Provò a dimenarsi, ma lo strinsi più forte, e senza accorgermene, iniziai a piangere. Me ne accorsi quando il gatto si lamentò perché gli avevo bagnato il pelo di lacrime.

"Scusami, Winston. Sei tutto ciò che ho adesso" in risposta mi leccò la faccia. Ridacchiai per la lingua ispida.

"D'accordo. Ora devo pulire e..." mi brontolò lo stomaco, "ho fame".

Decisi di chiamare Andy; era davvero l'unica persona su cui potessi contare. 

"Ehilà, amico".

Gli raccontai cos'era successo, e "Porca puttana! Il cazzo di fornello! Ti è esploso il fornello, amico! Hai rischiato di rimetterci la pelle, Cristo santo!" era a metà fra il preoccupato e il divertito.

"Già. Sto morendo di fame. Ti va di andare a cena fuori?"

"Sono in vestaglia da notte. Vieni a casa mia, faccio preparare per tre"

"Grazie, Andy, sei il migliore".

Arrivai a casa sua che erano le sette. Angela stava ancora preparando la cena, perciò trovai Nikolaj e il mio amico in salotto; il primo si trovava sulla poltrona, a leggere, e l'altro allungato sul divano, in vestaglia da notte. Non si parlavano. Sembravano due sconosciuti in una sala d'attesa.

Andy venne ad abbracciarmi appena mi vide.

"Amico mio! Stavi per diventare una bistecca succulenta!" mi strinse e capì che ero terrorizzato, "ehi, da quando tremi per un po' di fuoco? Dai!" Mi diede uno schiaffetto ed apprezzai il tentativo.

"Lo so. Poteva andarmi casa a fuoco..."

"Siediti".

Ci furono attimi di silenzio. Nikolaj mi salutò, ma continuò a leggere, o finse di farlo. Mi lanciava delle occhiate.

My strange love //(boyxboy)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora