18. A casa del buzzurro

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Mi trovavo sulla spiaggia. Da piccolo, la spiaggia mi era sempre piaciuta; ci andavo con i miei genitori, ogni estate, ogni anno, per una settimana o due, e l'ultimo giorno lo passavo sempre a lamentarmi perché non volevo tornare a casa. Mi divertivo con mamma e papà, a nuotare, fare castelli di sabbia; da bambino ero anche più socievole, riuscivo anche a fare amicizia con altri bambini.

Ora un vasto mare si apriva davanti a me, ma non era come il mare che adoravo da piccolo, era un mare scuro, in tempesta, senza un raggio di luce a squarciare le onde. Ero solo, sul litorale, immobile, senza la forza di muovermi. Le onde erano sempre più alte, sempre più mosse, sempre più spaventose; volevo andarmene, perché temevo che mi avrebbero inghiottito, portato con sé. Non riuscivo. Restai fermo a fissarle, a guardarle crescere, crescere, crescere, un forte maremoto... finché un'onda si avvicinò, mi ricoprì, e io caddi, smisi di respirare; mi aspettavo che mi avrebbe divorato... e invece, piano piano l'acqua si ritirò, ma io restai sulla spiaggia, a terra, bagnato, infreddolito, sporco, ricoperto di alghe, sofferente; ma vivo.

Ero stato colpito da un'onda gigante, da solo, senza forze né nulla a cui appigliarmi: ed ero sopravvissuto.

"Perché sei stupito?"

Una voce mi sorprese alle spalle. Una donna bionda castana, non troppo alta, non troppo sorridente, dagli occhi come i miei; mia madre. Vicino c'era mio padre, ed entrambi mi guardavano con orgoglio.

"Non credevo di essere così forte"

"Sei molto forte", disse mio padre, "lo sei sempre stato, siamo fieri di te"

"Siete fieri di me, ma mi sento solo. Sto vivendo un momento difficile, e voi non ci siete. Prima passavamo molto tempo insieme, andare al mare era così bello... a tredici anni abbiamo smesso, e ci siamo allontanati così tanto..."

"Non ha importanza. Ti vorremo sempre bene. Perché non ce ne parli? Ci saremo per te, ti staremo vicino".

Spalancai gli occhi di colpo.

Davanti a me, proprio nella mia visuale, c'era una grande finestra, dalle lunghe tende bianche, che scendevano leggere a terra. Mi ricordavano della neve soffice. Fu il mio primo pensiero: era un dicembre molto freddo, e si attendevano nevicate in gran parte dell'Italia; ero sensibile al freddo, eppure la neve mi ammaliava.

Alcuni raggi filtravano dalle fessure della tapparella, permettendomi di studiare la stanza. Ero in un letto matrimoniale, dalle lenzuola morbide e all'aroma di lavanda; al lato del letto c'era un mobiletto, con una lampada in vetro, di fronte un armadio scuro, di legno pregiato. Le pareti brillavano sotto i lievi fasci di luce, poiché la vernice era piena di brillantini sfavillanti.

I ricordi della sera precedente tornarono piano piano: il locale, l'alcol, il fumo, il biliardo, gli amici di Valerio e... Valerio. Ero ridotto male e si era offerto di portarmi a casa sua.

Perfetto, adesso sono anche in debito con lui. Con quel...

Stavo per pensare buzzurro, ovvero come lo chiamavo di consueto, ma mi bloccai. Il giorno prima mi aveva ben dimostrato di non essere così terribile: snervante e egocentrico, sì, ma non una persona orrenda; mi aveva invitato ad uscire, mi ero divertito, ed era stato anche bendisposto a portarmi da lui per la notte.

Mi misi seduto, scoprendo di avere un bel mal di testa, perché ero stato di nuovo un incosciente. Gabriele mi aveva avvisato di non fumare e bere insieme, e non l'avevo ascoltato.

Sul mobiletto c'era anche un orologio. Le dieci e ventitré. Quanto avevo dormito? E soprattutto, cosa diavolo dovevo fare ora? Non ero mai stato a casa di Valerio, non conoscevo nessuno, non sapevo nemmeno in che quartiere si trovasse, per tornare a casa.

My strange love //(boyxboy)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora