Il giorno dopo lo evitai, lui non si avvicinò. Anche il giorno dopo ancora e ancora e ancora. Trascorsero parecchi giorni da quella sera. Nel frattempo che io lo ignoravo, lui stringeva il legame con gli altri: Amanda lo adorava, Roberto lo invitava a bere e Andy aveva imparato a conviverci. Da come mi aveva raccontato, Nikolaj stava soffrendo molto per la situazione nuova in cui si trovava.
"L'altra sera l'ho sentito piangere" mi disse, "e anche se non lo tollero ancora bene, non sono un mostro e quindi sono entrato nella sua stanza a consolarlo".
"A me ha detto qualcosa. Gli manca la sua famiglia e ha un sacco di difficoltà a parlare, si sente stupido perché non riesce a capire niente a scuola..." mormorò Amanda. Sentì il cuore stringersi.
"Già", s'inserì Roberto, "l'ho portato a bere l'altra sera e cristo santo, quanto beve! Mi ha raccontato dei suoi amici, era un sacco triste, poverino. A te ha detto qualcosa, Andy biondo?"
Parlava con me. Eravamo al tavolo, all'una e mezza, per pranzare prima del recupero, come al solito. Posai la forchetta. All'improvviso, non avevo più fame. "No. Ma come fate a capire cosa dice?"
Sapevo che era bravo a farsi capire e che discutere con lui non era così difficile; era il mio modo di evitare la domanda, per non dover ammettere che stavo facendo lo stronzo con lui.
"Gesti, Google translate... si capisce" mi rispose Roberto.
Andy mi lanciò un'occhiata. "Andy è un asociale. Una specie di misantropo. Non fa amicizia facilmente, non stressatelo".
"Non è così..."
"Certo che è così. Ancora non mi sopporti", ridacchiò Roberto, per niente offeso.
"Oh, scusa..." mormorai.
"Sto scherzando, idiota. Ma Nikolaj non è niente male. Prova ad avvicinarti, è amichevole".
Lo so, infatti la colpa è mia. Non sapevo cosa fare; temevo che se mi fossi avvicinato, avrei continuato a pensare a lui. Volevo smettere di pensarci, credevo che standogli lontano mi sarebbe passata; invece, più gli stavo lontano, più mi sentivo in colpa.
"Va bene". Non andava per niente bene. Era un dilemma per me. Come dovevo comportarmi?
Compresi che evitandolo, al posto di smettere di pensarci, ci pensavo di più. Perciò, decisi che era meglio essere naturale, come ero con altri: riservato, parlavo poco, timido, ma non al livello di ignorare qualcuno.
La mattina dopo, quando arrivò insieme ad Andy, lo salutai e mi salutò; notai una scintilla di stupore nei suoi occhi. Quindi smisi di ignorarlo e di evitarlo, ma ciò non implicava che mi sarei avvicinato, e non lo fece nemmeno lui; e per come l'avevo trattato, fingendo che non esistesse, non lo biasimai.
Scambiavamo poche parole, in gruppo, e per il necessario. Mentre con gli altri cominciava ad avere un buon legame, con me non aveva niente; da una parte, ero sollevato; dall'altra, ci stavo male, perché ero sempre il solito, l'asociale e dal carattere troppo chiuso.
Una questione di sguardi. Lo guardavo e mi guardava, senza parlare. Anche mentre eravamo con gli altri, parlava con loro e guardava me. Io facevo lo stesso. Non avevamo nulla, non eravamo nulla, ma ci lanciavamo sguardi come se dovessimo dirci qualcosa che non avremmo mai detto a parole.
Ci tenevamo sotto controllo. Era buffo. Io lo fissavo mentre era distratto, non appena se ne accorgeva, sviavo gli occhi e viceversa. Succedeva soprattutto nella biblioteca, durante il recupero: o meglio, io facevo il recupero, lui prendeva lezioni di italiano. Quando gli insegnanti ci lasciavano studiare da soli, cominciava la nostra gara: eravamo sempre a un banco di distanza, come se stare troppo vicini ci ferisse.
STAI LEGGENDO
My strange love //(boyxboy)
Teen FictionAndrea è un ragazzo dalla vita semplice: ha un migliore amico, Andy, con cui passa la maggior parte del tempo. Non ha mai avuto una fidanzata, perché non è mai stato interessato né alle ragazze né all'amore. Ma quando proprio il suo migliore amico...