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Daniel

Osservavo con disinteresse l'intonaco bianco sopra di me. Forse non lo stavo nemmeno guardando, limitandomi a fissarlo giusto perché i miei occhi erano caduti senza un motivo proprio lí. Il movimento ripetitivo del braccio che si stendeva verso l'alto e si piegava e si stendeva e si ripiegava mi fece avvertire, dopo qualche minuto, un certo dolore all'altezza del gomito. Il rumore secco e monotono della pallina di spugna che sbatteva sul soffitto mi rilassava. Peccato solo che, ogni tanto, qualche tiro non fosse sufficientemente forte da raggiungerlo. Cosí, in un lasso temporale brevissimo, la palla tornava indietro alla mia mano che, non appena la sfiorava, si chiudeva come una trappola per topi.

Perso nei miei pensieri, riflettevo su quanto fosse strano il corpo umano. Perché nell'afferrare un oggetto la mano si chiudeva immediatamente, aderendo perfettamente a esso? Scossi la testa. Probabilmente la domanda che mi posi non aveva alcun senso. Ma in quel momento non riuscivo a concepire nulla di sensato, né intendevo davvero farlo. Avrei solo desiderato rimanere da solo, cullato dal ripetitivo rumore della pallina che si scontrava al muro. A dire il vero, i miei pensieri facevano molto più rumore. In un attimo, passai dalle domande di anatomia a quelle esistenziali. Per quale motivo mi stavo sentendo come fossi morto, nonostante non lo fossi?

"Daniel, ti uccido" sentii, ironia della sorte, pronunciare dalla voce di mia sorella. Arrestai per un istante il movimento del mio braccio, anche perché iniziava a fare davvero male. Sentii, tutto a un tratto, un bruciore intenso all'altezza del gomito. Ed ecco l'odioso formicolio. La mano, invece, si era congelata.

Ruotai il capo, aguzzando l'udito. Sentii Vanesa sbuffare, poi un rumore di fogli che si sparpagliarono, probabilmente a terra. Fui tentato dall'alzarmi a vedere cosa stesse succedendo. Poi ci ripensai. Il braccio si piegò verso l'alto, la palla lasciò il mio palmo e volò verso l'alto.
"Daniel, hai finito?!". La frustrazione di mia sorella tornò a dare espressione di sé. Davvero trovava così fastidioso quel rumore che a me pareva così rilassante?

Mi alzai, finalmente. Non avevo idea di quanto tempo fosse passato da quando ero entrato in camera gettandomi, privo di forze, sul letto. Dovevano essere ormai le cinque del pomeriggio. Per togliermi ogni dubbio, mi sporsi verso l'orologio appoggiato sulla scrivania. Da quando lo avevo, non avevo mai dovuto cambiarne le pile. Andrea aveva azzeccato in pieno il regalo.

"Così non arriverai più in ritardo ai nostri appuntamenti" aveva osato insinuare.
"Io? Ma se sei tu quello che fa aspettare gli altri almeno per un, oserei dire, accademico quarto d'ora" avevo ribattuto, ridendo da solo della mia battuta.
"Mai sentito parlare del quarto d'ora accademico?" gli avevo domandato.
"Ma che cosa c'entra?".
"Eh, cose dell'università..." avevo sentenziato, mentre mi guardava con i suoi irrestibili occhi verdi.
"Ma che è 'sta roba? Vabbé, comunque non vedo l'ora di iniziarla".
"Pensa a finire la quarta superiore" gli avevo detto, scherzando.

"Maledizione..." sussurrai. Quattro e venti. Com'è possibile che il tempo passi così lentamente quando ci si annoia?
Sospirai, passandomi entrambe le mani fra i capelli. Strabuzzai gli occhi, poi tornai a sospirare.
"Chi stai maledicendo?". Mia sorella comparve sull'uscio della porta, senza bussare. Mi voltai verso di lei che, magliettina anni duemila, sembrava sentire già il caldo dell'estate.
"Copriti, ci sono venti gradi" le dissi, infastidito. Già sapevo che sarebbe uscita con Tommaso.
"Non cambiare discorso. Con chi ce l'hai?" domandò.
"Con nessuno" risposi, abbassando lo sguardo e facendo per superarla. Ma una sua spallata mi fermò.
"Certo, come no. Andrea ti ha dato la sua solita buca?" mi disse, ironicamente. Non mi piaceva quando faceva la cresciuta. Aveva sí quattordici anni, era già una ragazza, ma il rispondermi a quel modo non l'avrebbe fatta sembrare grande ai miei occhi.

La distanza riunisce Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora