26-1988

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DANIEL

L'odore del caffè proveniente dalla moka sul fornello pervase le mie narici. Il rumore prodotto da quest'ultima, un gorgoglio insistente e gracchiante, mi rammentò che fosse giunto il momento di spegnere la fiamma.
Sollevando frettolosamente la moka, toccai sbadatamente una superficie bollente. La reazione fu spontanea: ritirai immediatamente la mano e, iniziando a sventolare le dita per aria, cercai di ridurre il dolore causato dalla temperatura elevatissima. Tenere premute le due dita nel palmo della mano aveva affievolito la sensazione di fastidio. Ma una scottatura, per quanto superficiale, mi aveva procurato un po' di rossore nel punto leso.

"Oggi non sarà affatto una giornata piacevole" dissi, versando il caffè nella mia tazza. Il liquido nero che precipitava in essa si mescolò al centilitro di latte e cereali che usavo da accompagnamento. Un bicchiere di spremuta adagiato poco più in là sulla tazza avrebbe costituito la seconda parte della mia colazione, assieme con qualche albicocca.

Sedendo a tavola, afferrai la tazza con la mano: il fresco della ceramica camuffava alla perfezione il bollore del caffè, a cui si aggiungeva quello del latte.

Quella tazza era stato un regalo di Tommaso, lo scorso Natale. Le decorazioni rosse e verdi lungo tutta la superficie, un nastro argenteo sul manico... sembrava di essere a fine dicembre anche se, tempisticamente parlando, ci si trovava agli esatti antipodi.
"Felice Natale a te e famiglia. Non mangiare troppi dolci, ché la Palletta poi vi fa fare cinquanta giri di corsa per smaltire, tornati dalle vacanze", il loquace biglietto di auguri che fungeva da accompagnamento a quel regalo incartato con una precisione non di Tommaso. Ci doveva essere lo zampino di sua madre.
"Fossero davvero solo cinquanta, i giri che ci ha fatto fare quest'anno a lezione" parlai ad alta voce, senza rendermene conto. Il tono di voce non fu così alto, ma nemmeno silenzioso da poter essere sentito soltanto dal sottoscritto.

"Parli da solo?". Una voce femminile mi fece quasi saltare per lo spavento. Un sorso in piú di caffelatte sbordò piú del previsto, bagnandomi interamente il prolabio. Prendendo rapidamente il tovagliolo alla mia sinistra, mi asciugai baffi, intintisi di bevanda.
"Hola, mamá" risposi, accennando un sorriso.
"¿Qué haces despierto tan temprano?". A volte mi sorprendevo quando mi chiedeva cosa facessi sveglio così presto. Ormai erano anni che non dormivo fino a tardi, d'estate.
"Me despierto temprano como siempre, mamá" le dissi, prendendo un biscotto dal contenitore: mia madre li aveva fatti qualche giorno prima, ma avevano conservato relativamente intatta la loro fragranza.
"¿Y tu hermana?". Mi chiese di mia sorella, ma già avrebbe dovuto conoscere la risposta.

Voltai lo sguardo verso mia madre. Una camicetta con le spalline sottili, nere, lasciava intravedere appena la curva del suo seno. Arrivava lunghezza delle ginocchia, quel vestito, e le stava piuttosto bene. Era stato un regalo di Vanesa per l'anniversario dei miei. Non avevamo mai fatto un regalo di coppia: trovavamo più grazioso che ognuno ricevesse un dono per sé. Mamma da parte di Vanesa, papà da parte mia. Erano un po' di anni, a dire il vero, che ci alternavamo: ma quest'anno era toccato a lei impegnarsi a trovare qualcosa per María Inés. Prendere qualcosa a papà era solitamente più facile: un oggetto qualsiasi era ben accetto. Mamma, invece, non riusciva mai a trattenersi dall'esprimere, in tutta la sua sincerità quanto cortesia, la sua opinione circa il dono che riceveva. E se non le fosse piaciuto, bastava un suo sguardo a farci capire che il prossimo anno avremmo dovuto cercare qualcosa di più carino. Le sue parole, infatti, erano sempre molto amorevoli.

Ricordavo ancora quella volta in cui Vanesa le aveva regalato un mazzo di fiori, dimenticando quanto la mamma adorasse vedere sbocciare i fiori nei vasi, settimana dopo settimana. Secondo i suoi gusti, i fiori recisi erano "un simbolo di violenza". Avevo sempre ritenuto la sua espressione un'esagerazione; ma Vanesa aveva scelto proprio il pensiero sbagliato.

La distanza riunisce Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora