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@The_true_alpha_ A te dedico questo capitolo.

Daniel

"Dannazione". Il computer, sotto carica da qualche minuto, si spense all'improvviso. Sollevandolo, cercai di capire se qualcosa l'avesse fatto surriscaldare fino a farlo scaricare. Sotto, il raccoglitore di matematica si era lievemente intiepidito, ma non era stato la causa dello spegnimento del dispositivo. D'altronde l'avevo messo lá sotto per evitare che il computer non potesse respirare. Le ventole erano posizionate in un punto bizzarro e il raccoglitore faceva in modo che parte del pc rimanesse scoperta e potesse raffreddarsi.

Sbuffando, mi sporsi a lato tenendomi con le mani alla scrivania per vedere se il caricatore fosse attaccato alla presa. Sotto carica da appena cinque minuti, il computer avrebbe potuto non reggere se la corrente avesse cessato di giungere, almeno per il primo quarto d'ora. Effettivamente, la causa del suo arresto era stata proprio il mancato collegamento del pc alla presa di corrente. Il cavo del caricatore si era staccato da quest'ultima, posta a terra, sotto al termosifone. Lí accanto, Gardenya ci stava giocando rotolandosi e muovendolo con le zampe.
"Ah, sei tu" dissi, sporgendomi verso di lei con le braccia. Con delicatezza la presi per la collottola e la trascinai verso di me, sollevandola dal ventre per appoggiarla sulle gambe. Lei, con un miagolio, mi fece intendere che volesse essere accarezzata sul pelo candido, tappezzato in qualche punto del dorso con delle piccole macchie caffelatte. Cosí feci, avvertendo poco dopo le sue fusa.

"Stavo lavorando, sai? Ovviamente prima che venissi a importunarmi" dissi, grattandole un orecchio. Lei chiuse l'occhio dallo stesso lato e ruotò il capo, segno che stesse gradendo.
"Sto cercando un modo per riuscire a riscattare Zedge. Un tizio mi ha chiesto mille euro per averlo indietro. Che malvagi gli uomini, non è vero?". Gardenya, fra le fusa e un miagolio, sembrò darmi conferma. Forse solo il suo umano, ai suoi occhi, non rientrava in quella categoria discriminante.

Riattaccata la presa, riaccesi il computer, che si riavviò in un istante. Quel pc era stato un regalo di mia nonna che, per quanto poco si intendesse di computer, aveva ritenuto che quell'aggeggio fosse utile per la scuola ; in tv aveva sentito dire fosse usato dai giovani d'oggi per studiare. E per lei, i miei studi erano importanti.
Nonostante mia nonna non fosse anziana, non era affatto ferrata per la tecnologia. Ma la sua gentile concessione mi aveva consentito di comprare un gioiellino.

"Dunque, dov'ero arrivato?" mi chiesi, picchiettando un dito sul mento, mentre lo schermo luminoso del pc si rifletteva sulle lenti degli occhiali che indossavo quando stavo al computer. Mi stavano male gli occhiali, ma per quanto strano e bizzarro apparissi, speravo che almeno proteggessero in parte la mia vista.

Visitando svariati siti, avevo cercato di capire come riuscire a guadagnare soldi in tempistiche relativamente brevi. Alcuni erano attendibili, ma non facevano per me. Fare il baby sitter mi avrebbe permesso di mettere da parte poche decine d'euro. E, oltretutto, avrei impiegato qualche giorno prima di trovare qualcuno disposto a lasciare il proprio pargolo nelle mani di uno sconosciuto. Avrei necessitato svariati incontri per permettere alla famiglia di dimostrare d'essere la persona che stavano cercando. Quell'opzione, dunque, fu esclusa immediatamente.
Vendere i libri di scuola era fuori discussione, almeno fino ad agosto. Nessuno li avrebbe comprati con così tanto anticipo rispetto all'inizio dell'anno scolastico successivo. Creare un annuncio sarebbe stata una perdita di tempo.

Fra vari consigli e proposte inattendibili, alcune avevano persino scatenato la mia ilarità per quanto assurde: vendere il proprio spazzolino era fra queste. Mi chiedevo chi fosse cosí disperato
Scoppiando in una fragorosa risata, non mi accorsi che mia sorella passasse di lí.
"Ah, bene. Vedo che ti sei già dimenticato cosa è successo. Ti stai divertendo a giocare al pc con i tuoi amici?" domandò, acidamente. Mi volsi a guardarla. Un turbante fatto di due asciugamani di tonalità simili avvolgeva la sua testa, lasciando intravedere qualche ciuffo di capelli scurissimi in prossimità della fronte. Il suo accappatoio, avvolto attorno alla vita, le andava ormai piccolo. Le era stato regalato da una collega di mamma ormai svariati anni prima. Era di una buona qualità, però.
"Non ti frega di Zedge, vero?" disse, con gli occhi colmi d'ira e di disprezzo.
"Vanessa, cosa dici?". Venendo verso di me, si sporse verso il computer.
"Cosa stai facendo, vuoi fare soldi per comprarti un videogioco nuovo?" mi punzecchiò ancora, insistentemente.
"Mi fai schifo, ti detesto" disse, spingendomi. Gardenya lamentò il brusco movimento che quasi mi fece cadere lateralmente, e per il quale dovette scendere dalle mie gambe. Dopodiché mia sorella girò i tacchi, andandosene via. Se solo avesse saputo cosa stessi cercando di fare non mi avrebbe trattato a quel modo. Ma non avrei potuto dirle la verità.

La distanza riunisce Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora