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DANIEL

Il cielo si era imbrunito sul tardi, quella sera. Le nuvole si erano i intinte di tonalità calde: pesca e ocra, le mie preferite. Qualche aereo, minuscolo e alto nel firmamento, aveva lasciato candide scie dietro di sé, attraversando chilometri e chilometri in pochissimo tempo. La luna, nel suo primo quarto, mostrava sottile una piccola parte della propria superficie: se la si osservava bene pareva un volto, macchiato qua e lá da qualche imperfezione che ne minava la pelle lattescente.

Lontani a sufficienza per scuotere i propri rami in danze scalmanate, i pioppi e le querce lasciavano cadere qualche foglia sottratta da una forte folata di vento. Ma ve ne erano cosí tante, sulle loro chiome, da non rendersi conto che giusto un paio si erano staccate per librarsi nell'aria per qualche secondo, prima di giacere a terra.

Diretto verso il Po, non distante da lí, uno stormo abbastanza contenuto di gabbiani si era accorpato a un secondo gruppo di uccelli provenienti da un'altra direzione. Che si fossero dati appuntamento per dirigersi verso le umide aree a ridosso dei Murazzi?

Per strada, il silenzio più assordante: soltanto acuendo l'udito si poteva sentire, sul corso, lo scorrere del traffico, che però sembrava un rumore bianco, quasi un ronzio frutto di un difetto acustico.
Per i marciapiedi, qualche persona a passeggio camminava indisturbata: quel sabato sera le temperature erano abbastanza miti, nonostante il pomeriggio afoso.

"Daniel, cosa fai?". Andrea sopraggiunse in terrazza, guardandomi con i suoi occhi vispi e scuri, nel buio della notte appena sopraggiunta.
"Nulla di che. Guardo fuori" risposi, voltandomi nuovamente verso il paesaggio.
"Non vieni di lá con noi?" mi domandò, appoggiandosi con gli avambracci sulla ringhiera, a fianco a me.
"Sí, a breve vi avrei raggiunti. Volevo solo stare cinque minuti da solo, a prendere un po' d'aria fresca" dissi.
"Va bene. È tutto a posto, comunque?". Andrea rivolse i suoi begli occhi ai miei. Le sue ciglia lievemente curve rendevano più penetrante il suo sguardo.
"Sí, certo. Mi sono divertito un sacco" dissi.
"Ti sei divertito?! Ma come! La festa mica è finita qui. C'è ancora la torta da mangiare, i regali da aprire. Abbiamo praticamente appena iniziato" rispose Andrea, tirandomi per un braccio. Mi sottraetti alla sua presa.
"Cosa c'è che non va?".
"Nulla, Andrea. Voglio stare un attimo da solo. Tutto qui. Non c'è nulla che non vada. Ho bisogno di prendere fiato per qualche minuto".
"Sei già stanco? Mamma mia, sarebbe stato meglio non compierli, questi diciotto anni" ironizzò lui, alzando così tanto la voce che nonostante il quarto piano a cui ci trovavamo, un passante sollevò la testa per capire da dove fosse provenuta quell'esclamazione cosí enfatica.

"Fra poco vi raggiungo" ribadii, rivolgendo un timido sorriso al mio ragazzo.
"D'accordo" rispose lui, allontanandosi da me, canticchiando una canzone che mi pareva di conoscere. Forse l'avevo sentita poco prima alla radio: a pensarci bene era davvero orecchiabile ed ero certo sarebbe rimasta impressa anche a me.

Tornai a immergermi nelle mie riflessioni. Quella volta i miei pensieri non furono tanto diretti al bel tramonto al quale avevo appena assistito, quanto piú ad Andrea. L'averlo visto venirmi a cercare mi aveva fatto piacere: era come se avesse saputo che, guardando quel cielo, non avessi potuto fare a meno di pensare alla sua persona. Ogni singola cosa, in realtà, era in grado di rimandarmi a lui. Molte volte ci eravamo persi a guardare le giornate volgere al termine sdraiati su un letto d'erba, con le braccia incrociate sotto alla testa. Se avessi dovuto citare un'attivitá che spesso svolgevano insieme non avrei avuto dubbio alcuno: sarebbe stata quella.

Andrea mi era mancato davvero moltissimo, nell'ultimo periodo. A dire il vero, tutti i miei amici mi erano mancati. Finita la scuola non avevamo avuto modo di frequentarci più di tanto: i meii mille pensieri e una prima vacanza di Carlo aveva reso impossibile una rimpatriata prima del mio compleanno. Sicuramente Melissa e le altre erano riuscite a incontrarsi, almeno un paio di volte per settimana. Per me, invece, non c'erano state altro che preoccupazioni.
Non avere il sostegno di Andrea, durante le settimane precedenti, mi aveva fatto sentire completamente perso. Era come se a fianco a lui ogni difficoltà potesse essere superata. L'idea di averlo ancora lontano da me mi faceva paura anche se ormai sapevo che nulla avrebbe potuto più ostacolarci. Andrea si era reso conto, finalmente, di quanto grande fosse il nostro amore. A pensarci bene, non avrei dovuto perdonare il suo enorme errore: non capacitarsi del fatto che i nostri sentimenti potessero vincere qualsiasi ostacolo mi aveva ferito. Ma lo avevo perdonato: d'altronde, anche io avevo commesso degli errori che, probabilmente, lui aveva perdonato in passato.

La distanza riunisce Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora