28-2029

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Daniel

"Allora? Non lo accarezzi? Non ti è mancato come mi dicevi?" domandai, superandola e dirigendomi verso la mia stanza.
"Daniel, dov'era? Dove lo hai trovato? Mi domandò, correndomi dietro.
"Daniel, perché ti comporti così?" insistette, lasciando Zedge alle sue spalle. Il cane, sentendosi ignorato, mugolò. Poi prese a giocare con Dave, che gli scodinzolò agitosamente.
"Vai ad aprire, prima che facciano danni in casa. O mi devo occupare solo io dei nostri animali?" la rimproverai, prima di spalancare la porta in modo che Zedge e Dave potessero andare a correre in giardino.

"Perché state urlando?" domandò mia madre, sopraggiungendo dalla cucina. Con il grembiule legato attorno alla vita, le mani sui fianchi, ci guardò severamente.
"Daniel, ti sei occupato di cercare Zedge? Dove sei scappato così presto, questa mattina?". La sua domanda fu la goccia che fece traboccare il vaso.
"Che famiglia di merda" sussurra, prima di allontanarmi dall'ingresso di passo svelto.

"Danuel, cos'è successo?" mi riprese mia madre, senza però ottenere risposta.
"Daniel...". Mia sorella stette in silenzio. D'altronde cosa avrebbe potuto dire? Aveva appena realizzato di aver fatto l'arrogante nei miei confronti per giorni. Qualsiasi parola fosse uscita dalle sue labbra sarebbe stata di troppo e l'avrebbe fatta sentire piccola e sciocca.

Me ne andai in camera, chiudendo la porta a chiave per evitare che mia madre cercasse di entrare, cosa che avrebbe sicuramente tentato di fare nell'arco della successiva mezz'ora.
"Che cazzo..." sussurrai, raggiungendo il letto e sdraiandomi su di esso, a gambe divaricate. Gardenya, in mezzo alle piante fiorite, mi osservava con i suoi occhi luminosi.

"Allora?". La guardai nelle iridi chiare, sperando mi si avvicinasse. Immediatamente sollevò la coda e miagolò. Poi scese dal davanzale della mia camera e si posizionò accanto a me. Poi prese a strusciarsi sulle mie gambe.
"Sai, vero, che i miei jeans si riempiono di pelo e poi la mamma sgrida me?" domandai, passando una mano sul suo manto chiaro. Il suo muso e le sue zampe, di un castano scuro, facevano contrasto col resto del suo corpo color cappuccino.

"Non ce la faccio piú" pensai fra me e me, stropicciando i capelli con le dita di una mano, mentre con l'altra accarezzavo la gatta, che si stava quasi assopendo.
"Sono veramente stanco di 'sta situazione" le dissi, come se potesse capirmi.
"Ogni cosa io faccia non va bene. E se qualcosa va bene per merito mio, nemmeno un ringraziamento".

La voce di mia sorella, acuta, si sentiva fin su per le scale. Sicuramente stava discutendo con mia madre di qualcosa. Probabilmente Vanesa aveva cercato di nasconderle che Zedge fosse in giardino, per paura che lei potesse venire a scusarsi per come mi aveva trattato in questi ultimi giorni. Odiavo la sua gelosia: tutti, in famiglia, la facevamo sentire la principessa di casa e nonostante ciò non riusciva mai ad accettare quando qualcuno riusciva a fare qualcosa meglio di lei. Non comprendevo con quale maleducazione cercasse di non farmi prendere i meriti che mi spettavo arrivando a nascondere la cosa per sminuire la fatica che avevo fatto per trovare Zedge. Lei, intanto, non aveva mosso un dito per tentare di ritrovarlo.

Vanesa, negli ultimi mesi, era diventata una cafona di prima categoria. Ogni cosa che gli altri facessero, ogni traguardo raggiungessero, non aveva alcun valore. Qualsiasi cosa facesse lei, però, doveva essere ritenuta eccezionale e ammirata con stupore ed entusiasmo. E se sbagliava, non era certamente colpa sua. Eravamo sempre andati d'accordo enon riuscivo a comprendere quale fosse la ragione per la quale mi stesse odiando così tanto. Ero sicuro di non averle fatto nulla e di aver sempre cercato di aiutarla e di essere suo complice. Ma, evidentemente, in qualcosa dovevo aver fallito: il suo comportamento non poteva essere cambiato tutto a un tratto.

La distanza riunisce Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora