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DANIEL

Andrea era lí, dinanzi a me. Le sue dita, nascoste per metà nelle tasche generosd, indossavano un anello a testa: uno al pollice, l'altro al medio. Non ricordo chi glieli avesse regalati: probabilmente era stato il solito regalo dell'ultimo minuto di Tommaso che, smemorato com'era, spesso dimenticava ricorrenze importanti come i compleanni degli amici. Non che lo facesse apposta: semplicemente, la sbadataggine era uno dei suoi principali difetti.

Le maniche della sua camicia, arrotolate lungo i suoi avambracci, fino ai gomiti, erano stirate perfettamente. Dalla tasca dei suoi bermuda chiari sbucavano gli occhiali da sole: ne aveva alcune paia, ma da quando lo conoscevo lo avevo visto portare sempre gli stessi, dalla montatura color cioccolato.

Osservai i suoi occhi verdi, i quali vennero colpiti da un raggio di sole che li fece apparire di una tonalità ambra. Le sue labbra carnose erano evidenziate da una passata di burrocacao: la loro superficie era lievemente lucida. Il desiderio di avvicinarmi alla sua persona e premere le mie labbra contro le sue fu incontrollabile nel momento in cui le mie pupille si furono posate su quella carne dal rosato così intenso.

L'istante in cui i nostri occhi si incontrarono parve eterno: si era trattato di un secondo, al massimo di due. Ma avrei giurato fossero passati minuti interi. L'intensitá del suo sguardo mi aveva catturato, facendomi avvertire la sensazione di cadere precipitevolmente verso il basso. Era come se mi fossi sentito sottomesso dalla sola forza delle sue iridi. Per un istante, una frazione di secondo, avvertii un brivido percorrere tutta la mia schiena: era una scossa di pura adrenalina. Quasi mi era piaciuta: era qualcosa che solo Andrea era in grado di suscitare in me. Ma avevo paura. Era passato molto tempo da quando ciò non accadeva e il provarlo dopo tanto mi spaventava.

Vedere Andrea davanti a me, a così poca distanza dalla mia persona, aveva suscitato sensazioni contrastanti. Se da una parte mi sentivo improvvisamente desideroso di fuggire da quella sensazione di debolezza che mi faceva tremare le gambe, dall'altra il mio unico volere era quello di andare ad abbracciarlo, stropicciare quella camicia senza una piega, avvertire il profumo della sua colonia invadere le mie narici, i suoi capelli accarezzare il mio viso, le sue braccia avvolgere la mia schiena in una stretta decisa, ma altrettanto delicata.

"Ciao". Andrea schiuse le labbra, accennando un sorriso che però soffocò pressochè nell'immediato. Mi avvicinai a lui, muovendo qualche passo verso il portone di casa. Nel frattempo, il vicino di casa del condominio accanto uscí da quest'ultimo, rivolgendomi un saluto e un'occhiata confusa. Io e Andrea eravamo a distanza di qualche metro e la tensione che ci teneva distanti era evidente. Qualsiasi persona, al guardarci, avrebbe capito dovessimo parlare di qualcosa di importante, e che nessuno dei due avesse il coraggio di prendere parola per primo.

"Ciao, Andrea" risposi, ormai vicino a tal punto da poter quasi avvertire il suo respiro nel silenzio della via di casa. Un'auto stava attraversando l'incrocio, ma per il resto non vi era anima viva a poterci disturbare. Sembrava stato fatto di proposito: era chiaro che quel silenzio, persino fastidioso, dovesse essere rotto dalle nostre parole. Cosí proseguii la conversazione, sperando di non far percepire eccessivamente il mio stato d'animo: il mio cuore batteva a mille, e stavo sudando freddo.

"Come stai?" domandai. Poi lo osservai. Il suo sguardo si perse per un istante, le sue pupille vennero voltate verso l'alto, in direzione del cielo. Un aereo che volava abbastanza basso stava attraversando il firmamento emettendo un boato abbastanza rumoroso. Anche i miei occhi vennero catturati da quello spettacolo insolito. Quell'aereo, a un'altezza che non poteva essere superiore al paio di chilometri, aveva tutto un suo fascino.
"Dev'essere un beluga" disse Andrea, accennando un altro sorriso.
"Come?" domandai, senza capire immediatamente di cosa stesse parlando.
"Questi aerei. Si chiamano così" aggiunse, volgendo i suoi occhi ai miei. Per la seconda volta avvertii un brivido attraversare la mia colonna vertebrale.
"Capito". Ci fu un attimo di silenzio, parso nuovamente eternità. Ma poi la voce di Andrea tornò a farsi udire, accanto al canticchiare di qualche merlo nascosto fra le siepi del giardino davanti.
"Comunque bene, direi. E tu?" volse la domanda.
"Più o meno" risposi, inserendo le mani in tasca.
"Perché?".
"Ti va di parlare?" domandai, sedendomi sul muretto esterno alla mia villa, il quale separava il giardinetto dal marciapiede sul quale eravamo da un paio di minuti.

La distanza riunisce Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora