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Daniel

Andrea era partito. Lontano ormai da me, avevo notato che fino all'ultimo istante mi aveva guardato: il suo sguardo mi aveva comunicato molto. Sportosi il più possibile per vedermi, mi parve quasi avesse cercato di opporsi al movimento del treno che lo stava portando lontano da me.
La sua mano, permasta a contatto col vetro, era diventata un tutt'uno con esso. Non si sarebbe staccata, non sotto al mio sguardo. Ma in pochi istanti il rumore del treno sui binari mi impedí di sentirlo gridare. Nonostante le sue labbra fossero rimaste congiunte, si vedeva che dentro di sé non fosse la pace a regnare, quanto più la voglia di buttare tutto fuori e confessare la verità. Andrea non avrebbe voluto partire. Ero certo di aver percepito, nei suoi occhi, il desiderio di tornare indietro e non mettere piede su quel treno. Ma ormai era tardi. Lontano da me, diretto verso il mare, non sarebbe tornato. Il destino aveva deciso così. Io avevo avuto fortuna a incontrarlo quando ancora quel treno non era partito, ma non abbastanza da impedirgli di partire. E lui, dal canto suo, aveva fatto la sua scelta. Per quanto se ne fosse pentito, lo percepii, il tempo non sarebbe tornato indietro e Andrea nemmeno. Perché avrebbe dovuto, poi? Se le sue intenzioni erano seriamente quelle di stare alla larga da me, avrebbe di sicuro cancellato il mio numero, forse cambiato il suo impedendomi in ogni modo di contattarlo. Ormai non esistevamo più.

Non mi faceva semplicemente male quello che era successo. Sapevo che troppe cose fossero andate storte affinché si potessero sistemare, al di là di quella partenza sulla quale Andrea aveva avuto ripensamenti solo nel momento esatto in cui il treno si fu scostato appena dal binario, annunciando l'imminemte partenza. Giá da alcune settimane, il nostro rapporto era cambiato e ogni cosa sembrava essere fatta non per il piacere di essere realizzata, quanto più perché conveniente. Forse aveva avuto ragione lui a non far finta che fra noi tutto fosse stato sempre perfetto. Era palese non fosse così e Andrea non era stupido. Io lo ero stato di sicuro, a pensarlo.

Il dolore che la nostra separazione mi stava causando non era fisico, quanto più un già sperimentato, maledetto senso di vuoto. Dalla morte di Sonia non avevo mai provato qualcosa di più intenso. Per me, Andrea era come morto. Non l'avrei più visto né sentito. Come avrei fatto a non considerarlo morto?

Mi sentivo tremendamente amareggiato, il rancore aveva preso il sopravvento; questo perché lui era riuscito a fuggire da me prima che io potessi cercare di fermarlo. Mi sentivo fregato. Perso. Che cosa avrei fatto a partire da quel momento? Andrea mi aveva abbandonato. Sarei stato solo, con i sensi di colpa a logorarmi e la consapevolezza che tutto mi fosse sfuggito di mano.

Rimasi alla stazione per circa tre quarti d'ora senza fare nulla. Me ne stetti in piedi dinanzi ai binari, a osservare il freddo acciaio di cui erano formati, linee parallele e cineree. Ciò era tutto quello di cui i miei occhi si stavano nutrendo in quel tempo che sembrava essersi arrestato. Niente si muoveva. Attorno a me, le persone sembravano essersi immobilizzate. Ero congelato in un mondo che pareva esserlo altrettanto.

A farmi sentire cosí privo di vita era la paura di ricominciare la mia vita senza Andrea. Era già accaduto una volta di dover riprendere a vivere dopo la morte di Sonia e sapevo che avessi fatto per andarmene da quella stazione, la mia vita sarebbe dovuta ricominciare immediatamente senza la sua presenza al mio fianco. Se invece fossi rimasto lí,, secondo la mia sciocca convinzione, qualcosa sarebbe potuto cambiare, il tempo sarebbe potuto tornare indietro e Andrea sarebbe sceso da quel treno. Ero perfettamente a conoscenza che non fosse possibile, ma volere e potere non erano sempre coincidenti.

Chissà cosa avrebbe fatto Andrea. da chi sarebbe stato. come avrebbe condotto la sua vita, una nuova vita. Aveva abbandonato tutto, lasciato ogni cosa.
Per lo meno lui avrebbe avuto l'occasione di rifarsi una nuova esistenza. Io, con la stessa, avrei dovuto inventarmi delle occasioni per tornare a vivere. E avrei dovuto, innanzitutto, imparare a farlo.

Andrea

Daniel svaní nel giro di pochi secondi dalla mia visuale. Il treno, da fermo, iniziò a scorrere lungo i binari, che emisero uno scocciante stridio per un istante. Storsi la bocca, come se quel gesto potesse limitare il fastidio. Il corpo di Daniel, intanto, si eclissò dietro a una colonna di cemento, fino a sparire, mentre io avevo ormai iniziato il mio viaggio in direzione opposta da lui.

Sospirai, chiudendo gli occhi. Improvvisamente, la mia mente fu trasportata indietro di pochi minuti. "Perché sei venuto" pensai fra me e me. Nel vedere Daniel comparire alla stazione, proprio nel momento in cui stavo per partire, dovetti ammettere ebbi un ripensamento repentino. Come un colpo di fulmine a ciel sereno che schiarí la mia mente, illuminandomi.
"Che cosa sto facendo?" mi ero domandato, sentendo dentro di me la voglia di scendere e buttare le braccia al collo del mio ragazzo per dirgli quanto l'amassi.

Il mio subconscio sapeva che la partire non sarebbe stata la decisione giusta da prendere. D'altronde, a quella partenza sarebbe corrisposto un viaggio di ritorno. Ma io lo potei realizzare solo nel momento in cui le nostre mani si sfiorarono, pur separate dal finestrino. Giurai a me stesso di aver sentito la sua pelle tiepida a contatto con la mia, nonostante il vetro freddo a separarci. Se davvero avevo deciso di lasciare tutto, avrei dovuto anche rendermi conto che non mi sarei più potuto permettere di abbandonarmi al desiderio di sfiorarlo.
Quella cosa mi distruggeva: per quanto non amassi gli addii, sapevo che il non aver almeno chiesto scusa a Daniel mi avrebbe fatto sentire dei rimorsi. Non avrei voluto apparire codardo e il fatto che Daniel mi avesse trovato alla stazione sul filo del rasoio mi faceva sentire ancora piú un vigliacco.

Sospirai nuovamente. Prendere una boccata d'aria mi avrebbe allietato. Cercai di mantenere il sangue freddo, pensando che se avessi fatto una scelta era perché avevo avuto le mie ragioni, anche se me ne stavo pentendo dopo poco.
"Forse è la cosa giusta" cercai di autocommiserarmi. Daniel e io non avremmo potuto vivere nelle medesime circostanze e per quanto facesse male, sapevo che mi avrebbe fatto ancora più male se fossi rimasto. Il mio desiderio era, in fondo, proprio quello di allontanarmi da lui.

"Non so se è la cosa giusta" pensai tornando a tormentarmi. In me non prevaleva effettivamente una parte: non sapevo cosa fosse corretto e cosa no, ma ero certo di aver avuto un ripensamento. Qualcosa avrebbe voluto dire. Ma anche fosse stato, in un lasso temporale fulmineo non avrei potuto modificare una decisione meditata per giorni. Avevo pianificato la mia partenza da ormai una settimana. Non avrei potuto buttare tutto all'aria per un ripensamento dell'ultimo secondo. E nonostante facesse male sia pensarlo che ammetterlo, fui certo che dopo un'esitazione iniziale sarei stato soddisfatto della mia decisione. Era quello che volevo.

La distanza riunisce Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora