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Dinanzi all'ingresso dell'ospedale, tre ambulanze coprivano le porte scorrevoli dell'edificio, dalle quali qualche lavoratore entrava per essere inghiottito misteriosamente al di lá dei vetri opachi. Due signori fumavano una sigaretta chiacchierando fra di loro, accanto a un albero dalle folte foglie di un verde deciso.
Una signora, con passo svelto, si dirigeva verso l'ingresso dell'ospedale per ripararsi dalla pioggia come stavo per fare io. Con la mano all'altezza del collo, teneva stretto il suo giubbotto antipioggia color notte, la testa bassa e gli occhi fissi a terra per evitare di pestare delle pozzanghere piene d'acqua fangosa.

"Daniel". Al sentire il mio nome, mi girai immediatamente verso la fonte di quel suono, la voce di un signore pelato, con una divisa bianca e rossa.
"Sei tu, vero?". Alla domanda, annuii guardandolo negli occhi. Erano di colori diversi; uno d'un castano comune. L'altro, un po' storto, era di un celeste chiarissimo. Non credetti fosse un caso di eterocromia; probabilmente aveva avuto qualche incidente.

"Sei pronto?" mi domandò, accennando un sorriso.

ANDREA

In spiaggia non c'era anima viva. La mattina si era ormai inoltrata fino a quasi le undici, eppure ero uno dei pochi sdraiati in quello strappo di spiaggia libera. Poco più in lá, un hotel aveva messo a disposizione dei clienti una sfilza di lettini e ombrelloni rosso-blu, occupati solo in misera parte. Forse era ancora presto per pensare alle vacanze e soltanto qualche famiglia aveva azzardato qualche giorno di riposo in riva a un mare ancora piuttosto freddo. Aguzzando meglio l'udito, potei notare che, delle due famiglie più vicine a me, una era tedesca. Effettivamente la loro carnagione lattescente non tradiva le loro origini. Un signore, munito di occhiali da sole sul naso, enormi, si era appena alzato dalla sua sdraio alla richiesta della figlia, di tre o quattro anni, di giocare con lui. La moglie, invece, riposava leggendo una rivista.
Più in là, l'altra famiglia era forse italiana, ma non ne fui sicuro. Tutti dormienti sotto quel sole caldo, non avevano proferito parola da quando avevo fatto il mio arrivo.

"No, no. Basta schizzi!". Lo stridio di una voce acuta mi fece tornare in me.
"Ti ho detto basta!" continuò a gridare, con la sua voce quasi fastidiosa. Al di là dei miei occhiali da sole, cercai l'origine di quel suono disturbante, senza muovere troppo il capo. Abbastanza distante dalla riva, verso la prima linea di boe bianche, una ragazzina di alcuni anni più piccola di me schiamazzava agli scherzi di quello che, a vederlo, sembrava il suo fidanzato. Dopo qualche schizzo di lui e qualche gridolino di lei, smisero di fare caciara e la bocca di lei venne immediatamente (e finalmente, per le mie orecchie) tappata da un bacio poco casto di lui, nonostante la presenza di persone in acqua non molto distanti da loro. Mi sentii in soggezione a tal punto che rivolsi il mio sguardo altrove.

Più in lá, due signore giocavano a volano. Nonostante l'età non proprio rosea, erano ben agili e si destreggiavano in tiri precisi e prese salvataggi al decimo di secondo. Oltre a me, anche qualche altra persona in acqua si era voltata a guardarle, se s trattenersi dall'indicarle, forse per la reale sorpresa nel vedere due settantenni saltellare cosí abilmente sul bagnasciuga.
Avrei avuto una voglia matta di giocare a volano, ma ricordai a me stesso di non essere più un innocente bambino, al quale tutto è concesso. Se fossi andato lí a domandare alle due signore di giocare con loro avrei sicuramente incuriosito le due. E poi, avrei fatto una figuraccia io. Non avevo mai giocato. E anche in questo caso, non avevo più l'età per potermi giustificare.

Da bambini era tutto diverso: il giocare in modo impacciato a un gioco veniva visto come la massima espressione di tenerezza da parte degli adulti, che si lasciavano a dei sonori 'Oh, che carino' quando vedevano piccoli ometti sporgersi goffamente a destra e a sinistra per cercare di giocare a dei giochi ancora difficili per loro.

La distanza riunisce Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora