16-1962

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eVANESA

"Ti ascolto. Di cosa parli?". Mio fratello sollevò le scarpe da terra, prendendole dalla parte posteriore con indice e medio. Poi, sospirando, si diresse verso la scarpiera in legno, sulla quale una dozzina di paia di scarpe giacevano le une accanto alle altre. Appoggiando anche le sue, la fila più in alto si riempí del tutto, precludendo il posto ai sandali che mamma avrebbe posato una volta rientrata a casa. Pazienza. Il ripiano sottostante era stato occupato solo per metà.

"Dove vai?" gli chiesi, osservandolo dirigersi verso la rampa di scale a chiocciola, segno che sarebbe presto salito in camera da letto, sfuggendo alla conversazione.
"Ti sto parlando, Daniel" dissi, cercando di attirare la sua attenzione. Afferrando la maglietta alla base con entrambe le mani, la sollevò fino a toglierla. Era chiaro: si sarebbe messo a letto a guardare la televisione o a dormire.
"Di cosa parlavi, prima? Mi spieghi?" chiesi ancora, alzando il tono della voce in modo che potesse sentirmi anche se aveva già richiuso dietro di sè la porta della camera. Questa venne riaperta un istante dopo e mio fratello, a petto nudo, mi guardò negli occhi, il pomello della maniglia fra le dita della mano sinistra.
" Sei troppo piccola, immatura e capricciosa per sapere certe cose" disse, richiudendo con delicatezza la porta, che venne poi chiusa a chiave.

"Che atteggiamento strano". Tommaso prese parola dopo che ebbi finito di raccontare l'accaduto. Le sue labbra, inumidite dalla bevanda che aveva sorseggiato durante il mio discorso, vennero ripiegate internamente sparendo fra il mento e il prolabio, coperti entrambi da una peluria spessa e nera, ma corta, segno che fosse ormai passato qualche giorno da quando si era fatto la barba.
"Già. Non capisco cosa stia succedendo" confessai prendendo anche io da bere, versando il contenuto della lattina, rossa e bianca, nel mio bicchiere di vetro.
"Ho solo cercato di capire. Non gli ho chiesto chissà cosa" mi giustificai.
"Magari è stressato per la storia di Zedge" cercò di difenderlo il mio ragazzo, sistemandosi un ciuffo si capelli che, sottrattosi alla piega, ricadde sulla fronte. Stavano diventando piuttosto lunghi.
"Non mi sembra così stressato. Va tutti i giorni in giro per Torino con i suoi amici a perdere tempo" dissi, abbassando lo sguardo sul contenuto del mio bicchiere. Le bollicine della bevanda gassata scoppiettavano producendo uno sfrigolio che si sentiva abbastanza nel silenzio della camera da letto.

"Non pensarci ora" mi invitarono a fare le parole di Tommaso che, avvertito un po' di caldo, sbottonò all'altezza del collo la sua polo viola.
"Non te l'ho mai vista addosso" dissi, osservandolo destreggiarsi con le dita affusolate per togliere il bottone dall'occhiello. Dopo un primo, ne rimosse anche un secondo. Effettivamente faceva caldo.
"Non mi piace molto il viola. Almeno, non come mi sta addosso" disse, prendendo ancora da bere e finendo direttamente la lattina la bibita color caramello.
"A te sta bene tutto" dissi, sporgendomi per baciarlo. Le nostre labbra si sfiorarono fino ad adagiarsi totalmente le une sulle altre.
"Anche a te" sussurrò Tommaso, passando una mano sulla mia spalla nuda e scostando la spallina del mio vestito, rosso.
"Grazie per essere venuta" disse, interrompendo il bacio e guardandomi negli occhi, accennando un sorriso.
"Grazie a te per l'invito". Tommaso mi sorrise, poi mi baciò nuovamente.
"Guardiamo un film?" propose.
"Quale?" chiesi, osservandolo sporgersi verso il suo computer portatile.
"Ne ho uno in mente che non può non piacerti".

DANIEL

La porta di casa si chiuse, sbattendo rumorosamente. A volte mi chiedevo cosa costasse accompagnarla. Era già la terza volta in pochi mesi che mi toccava sistemarla. Una volta, per una litigata con mia sorella, mia madre la sbatté con così tanta violenza che la maniglia, già di per sé fragile, era caduta come un sacco di patate a terra, finendo persino per scheggiare una piastrella all'ingresso. Ovviamente, la riparazione era stata affidata al sottoscritto che, sgridato per la poca precisione del lavoro, aveva ricevuto più critiche che ringraziamenti. Non pretendevo che fosse qualcun altro ad aggiustare le cose, se sapevo di potermela cavare. Oltretutto, i miei avevano sempre fatto tanto quando avevo avuto bisogno e mi sembrava il minimo collaborare in casa. Ma detestavo essere giudicato per come facevo le cose.

La distanza riunisce Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora