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DANIEL

"Che cosa vuoi da me?". Un gesto rapido del suo braccio mi obbligò a scostare la mano dal suo bicipite. I suoi occhi verdi mi guardarono con rabbia, le sue sopracciglia aggrottate rendevano meschino tutto il suo volto, corrotto in un'espressione iraconda.
"Levati" mi disse, spingendomi indietro, rischiando di farmi cadere dal marciapiede come aveva fatto lui rischiando di essere investito.
Guardai davanti a me. Il camion che lo aveva quasi tirato sotto si era ormai allontanato; all'orizzonte, diveniva sempre più piccolo.

"Chi sei?" la sua voce mi fece tornare in me. Voltai i miei occhi alla sua persona e attesi un istante prima di rispondergli.
Osservai i suoi occhi scuri, le labbra. Il piercing al naso. Se non fosse stato per quest'ultimo, avrei giurato fosse stato Andrea.
"Mi chiamo Daniel" risposi.
"Ah" disse, senza far seguire la sua risposta da alcun nome. Ne aveva forse uno così brutto da non volermelo dire? Non pensavo ci saremmo piú incontrati, ma ero curioso di sapere se, per pura combinazione, rispondesse al nome di Andrea.

"Tu?" chiesi, osservandolo alzarsi finalmente dal marciapiede, accanto al quale un piccolo mulinello di terriccio aveva appena cessato di ruotare. Si era alzato un forte vento.
"Marco" disse, senza nemmeno guardarmi negli occhi. Mi ero sbagliato.
Lo guardai ancora per un istante. Era assurdo il numero di somiglianze che riuscii a scorgere fra lui e Andrea. Aveva persino un paio di nei sul collo, simili ai suoi, ma più piccoli. La stessa forma del naso. Lo stesso taglio di capelli. Ma ora che li osservavo bene, i suoi erano più chiari.

"Che c'è?" mi chiese, dopo aver notato l'insistenza con cui lo stessi osservando.
"Niente. Buona giornata" gli risposi, facendo che andarmene.
"Ciao" disse, voltandomi prontamente le spalle e proseguendo per la sua strada. Ancora sul bordo di un marciapiede dal bordo sottile, ancora cercando di mantenere l'equilibrio.

Aggrottai le sopracciglia. Quel ragazzo avevo rischiato grosso, e si era anche arrabbiato con me perché avevo cercato, anche se tardi, di impedire facesse una brutta fine. Perché mi ero preoccupato per lui, senza nemmeno conoscerlo?

"Hai visto in lui Andrea" mi rispose Vanesa quando glielo raccontai, una volta tornato a casa. Facendo merenda assieme, attendevamo che nostra madre facesse ritorno a casa.

Dopo quell'incontro, comunque, avevo avuto bisogno di camminare ancora per almeno un'ora. Ero rimasto abbastanza scioccato. Uscivo di casa per togliermi delle grane dalla testa e tornavo a casa con altri pensieri. Mi chiedevo se ci fosse un luogo nel quale riuscissi a dimenticare tutto e nel quale potessi non ricondurre ogni evento causale ad Andrea.

"E a te?" domandai, cambiando discorso, a mia sorella. Appena tornata a casa, si era forse dimenticata di struccarsi e qualche pezzo di mascara secco si era sbriciolato sulla sua palpebra inferiore, facendo sembrare il suo sguardo stanco e cupo.
"A me cosa?" chiese, portando alle labbra un bicchiere pieno di succo per i tre quarti, fino a poco prima appoggiato sulla scrivania. Sorseggiò, attendendo che prendessi parola per darle qualche informazione in più riguardo a ciò che volessi sapere.
"Com'è andata con Tommaso?" le domandai, spostando lo sguardo verso il balcone dei vicini. La domestica stava ancora lavorando.
"Bene, siamo stati un po' a casa. I suoi erano fuori" disse, guardandosi allo specchio. Le sue mani sfiorarono le sue palpebre, nel tentativo di rimuovere i pochi pezzetti di mascara che si erano incollati sulla sua pelle.
"E cosa avete fatto?" chiesi, volendo poi rimangiarmi le mie domande. In fondo, erano cavoli suoi.
"Abbiamo guardato la televisione" rispose lei, volgendomi i suoi occhi scuri per un istante, per poi tornare a strofinare la sua pelle con un dischetto di cotone.
"Immagino" dissi, ironicamente.
"Ero ironica". Fregato. Per un istante ci fu un silenzio fastidioso. In lontananza sentivo il rumore della porticina del giardino spostarsi. Zedge era rientrato in casa.

La distanza riunisce Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora