A the_true_alpha_
A te dedico genuinamente un altro dei miei capitoli. Tu, che hai letto e commentato dall'inizio ogni briciola della mia storia e mi hai dato la forza, con le tue parole, di credere che questa storia meritasse davvero.María Inés
Riflessioni. Era da tempo che non mi capitava di crogiolarmi in pensieri contorti. Nell'ultimo periodo, il lavoro mi aveva tolto persino il riposo la notte e, avvolta nelle lenzuola di seta celeste, mi giravo su un lato e su un altro in attesa che la mente si spegnesse così come avevano fatto gli occhi. Le palpebre, stanche e affaticate dopo la giornata, si poggiavano delicatamente a coprire le sclere. La visione veniva impedita, ma non il fantasticare pressoché incessante di una mente sempre al lavoro: immagini confuse e sovrapposte si mescolavano, facendo riaffiorare preoccupazioni e ansie. Il cuore prendeva a battere rapidamente, e l'aria sembrava mancare. Non soltanto per il caldo asfissiante di quelle notti estive. Un attacco di panico veniva soffocato in un respiro profondo, negli occhi che si spalancavano all'improvviso. Ma dentro di sé, il petto pareva esplodere. La rapidità con cui i tum tum del cuore si susseguivano facevano credere che, prima o poi, sarebbe giunta la fine. Tutto intorno sembrava ad un tratto sconosciuto. Dove mi trovavo? Perché stavo così?, erano le domande più frequenti. Cercando di riprendere fiato, quel brutto spavento tramutato in angoscia si affievoliva, fino a scomparire del tutto. Mio marito, accanto a me, non si accorgeva di nulla fortunatamente. Dormendo sonni profondi da ormai un'ora, mi rasserenava: ero lieta che almeno lui potesse ristorarsi.
Passando una mano sulla fronte, mi resi conto di quanto avessi sudato. Il dorso della mano si impregnò di piccole goccioline che, trascinate sulla pelle, divennero una scia uniforme. Gli occhi, anch'essi umidi per via delle lacrime, cercavano un po' di pace: prima la stanchezza, poi l'insonnia, poi l'angoscia. E se fossero state solo paranoie? No, non poteva essere. Quando la mente pensa, è perché è chiamata a pensare. E se in quel momento era accaduto, era perché si era rivelato necessario. Dovevo pensare, avrei dovuto farlo a tutti i costi.
Mi misi a sedere sul letto, ansimando. L'attacco di panico si era concluso da poco, lasciando ancora qualche residuo evidente nella respirazione affaticata. Mi sentivo giù di morale, e una voglia irrefrenabile di piangere prese il sopravvento. Ma non avrei potuto piangere, non mi era concesso. O, forse, questo era ciò che mi era stato fatto credere quando divenni madre per la prima volta. Con Daniel in braccio, mi ero ritrovata un giorno a piangere per la paura di non saperlo crescere come avrebbe meritato. Una signora, passando di lì, si era lasciata sfuggire la sua rude opinione, ritenendo che piangere fosse solo per bambini. O meglio, bambine. E che, ormai, una donna di venticinque anni, doveva mostrarsi forte.
"Non ha mica tre anni, lei, che piange a quel modo. Su, non vede come la guarda con i suoi occhi verdi? Se li goda, ché sono di una rarità incredibile. Chissà da chi li deve aver presi. Mamma? Papà?" disse, con tono di scherno, sollevando le sopracciglia.Ricordai perfettamente le sue parole; il suo sguardo acerbo; le sue parole taglienti; la sua frustrazione nello scoprire che la figlia dell'uomo che lei aveva amato in gioventù, e che l'aveva rifiutata per scegliere un'altra donna, mia madre, era riuscita nel suo intento di diventare a sua volta mamma; il cielo azzurro, ma carico di nuvole bianche che rendevano l'atmosfera soave, quasi paradisiaca. Se non fosse stato per il caldo di quel settembre del novantanove che sembrava non finire mai.
Nascosi il viso fra i palmi delle mani. Stavo sudando, ma un soffio di aria fresca proveniente dal balconcino mi fece rabbrividire. L'alternarsi di giornate soleggiate e piovose aveva influenzato il mio umore, rendendomi suscettibile e apprensiva, spenta e distratta. Il giorno mi alzavo sperando fosse migliore del precedente, e le otto ore di lavoro lo facevano volgere immediatamente al termine. Era andato davvero tutto bene? Si era svolto come avrei voluto o mi sarebbe toccato riprovare l'indomani per cercare di rendere la giornata più soddisfacente?
Mi ponevo ogni giorno queste domande, ma le risposte che il mio subconscio mi forniva erano sempre le medesime, nefaste.
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La distanza riunisce
RomanceIl rapporto di Daniel e Andrea sembra essere inevitabilmente rovinato. La loro separazione, dovuta a ostacoli insormontabili, è decisiva. Ognuno prenderà la propria strada, lontano dall'altro, fino a quando non si incontreranno di nuovo.