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TOMMASO

"Finalmente ci rivediamo" esclamai, una volta che ebbi Daniel di fronte a me. Erano passati svariati giorni da che non ci vedevamo e sicuramente non potevo negare di aver sentito la sua mancanza.
"Cavolo, sono troppo felice tu abbia ritrovato Zedge" dissi, allungando una mano verso il batuffolo, che prese a leccarmi il palmo della mano.
"Anche io, non puoi capire" mi disse. Lo guardai negli occhi. Nonostante la bella notizia, non sembra così entusiasta di riavere Zedge per sé.
"Cosa succede?" gli domandai. L'espressione sul suo volto lasciava intravedere una certa amarezza.
"È per i miei. Ci ho litigato" mi confessò, sedendosi sul bordo del muretto che costeggiava il mio condominio.
"Che succede?". Daniel sospirò. Erano state pochissime le volte in cui l'avevo visto afflitto a quel modo. Era una persona molto solare e ogni volta che accadeva fosse giù di morale era per qualcosa di importante. Lo era stato per l'operazione di sua sorella, per il coma di Andrea, per la morte di Miele.

"I miei mi hanno riempito di domande non appena sono tornato a casa". Guardai il mio amico negli occhi. La luminosità delle sue iridi verdi sembrava essere scomparsa tutta a un tratto, sostituita da una tristezza immensa che poche volte avevo avuto modo di vedere.
"Quindi? Che tipo di domande?". Osservai Daniel nascondere le mani una dentro l'altra, mentre le vene sui suoi avambracci, contratte e in evidenza, lasciavano percepire il suo nervosismo. Forse, nel tentativo di trattenere parole di troppo, aveva stretto forte i pugni.
" Daniel, cos'è successo? Mi fai preoccupare". Daniel rivolse i suoi occhi alla mia persona. Accanto a noi, seduti sul muretto di casa, un motorino ci passò a fianco, lasciando una nube cinerea e puzzolente. Lo strombazzare del suo clacson ci infastidí abbastanza: sia io che Daniel convertimmo le nostre facce rilassate in un'evidente increspatura della fronte.

"Allora? Sto aspettando una tua risposta" lo esortai a parlare. Attirato dalle sue scarpe, che poche volte avevo visto ai suoi piedi, pensai di poter attirare la sua attenzione in qualche modo.
"Guarda, hai le scarpe slacciate!" esclamai, indicando le sue Converse verde militare. Lui, prontamente, rivolse lo sguardo verso di esse credendo fosse davvero così.
"Ah, ma allora ci senti!" esclamai, sorridendo.
"Per un attimo ho creduto fossi diventato sordo. Allora, mi rispondi?". Daniel sospirò. Poi guardò Zedge che, sdraiato non distanti dai suoi piedi, mosse appena la coda voluminosa.

"Ma niente. Cosa vuoi mi abbiano detto?" domandò retoricamente, iniziando a muovere su e giú le gambe, mentre le sue mano erano appoggiate sotto alle natiche.
"Beh, ti possono aver detto molte cose. Io non posso sapere. Per questo ti chiedo. Però se non ti va di dirmelo, okay. Accetto la tua scelta". Daniel stette in silenzio per un attimo. Una folata di vento spettinò i suoi capelli, lavati probabilmente non molto di recente. Le ciocche sottostanti parevano, in alcuni punti, lievemente oleose.

" Nessuno a casa mi ha ringraziato per aver riportato Zedge indietro. Mia madre mi ha tartassato di domande su come l'ho riavuto. Mi ha chiesto se qualcuno mi ha ricattato o cose del genere". Arrestai il fiume di parole del mio amico. Ero felice che, dopo qualche minuto di esitazione, avesse deciso di esternare il suo stato d'animo. Però dovevo intervenire: sua madre non aveva tutti i torti.

"Daniel, ma come fai a pretendere che tua madre non voglia sapere se qualcun ti ha ricattato o fatto del male? È tua madre. E poi, effettivamente è stato così, no? Due più due fa quattro" dissi, sperando non se la prendesse per avergli dato torto. Ma Daniel non era una persoma permalosa.
"Lo so. Lo so, e capisco il suo punto di vista" mi disse, sistemando i capelli precedentemente spettinati dal vento tiepido. Al polso indossava sempre il solito bracciale. Non gli avevo mai domandato chi glielo avesse regalato, ma era un elemento distintivo. Sapendo fosse lí ormai da alcuni anni, per me era del tutto normale vederglielo addosso.

La distanza riunisce Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora