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Daniel

"Dai, vieni!" urlavo a perdifiato, correndo nel giardino. I miei vestiti, sporchi di terra, si erano insudiciati per bene. Una chiazza marrone si estendeva su buona parte della maglia per una mia precedente caduta. Non mi ero fatto male: probabilmente l'indomani avrei avuto qualche livido, ma nel correre, inciampare e buttarmi a terra non provavo altro che un'immensa felicità. Lo stesso non si sarebbe detto della mamma: tornando dal lavoro mi avrebbe sicuramente sgridato. La zia, che si occupava di guardarmi, cercava di trattenere il mio spirito scalmanato, ma niente mi avrebbe potuto fermare. Nemmeno la minaccia di impedirmi di guardare i cartoni.  Sapevo che fosse solo un avviso: l'unica a prendere seriamente le redini della situazione, se avesse saputo che mi fossi comportato male, era la mamma. Sapevo che la zia non avrebbe fatto la spia, anche se purtroppo le macchie di terra sui miei vestiti dichiaravano il contrario delle piccole bugie a fin di bene che la zia raccontava a mamma per rasserenarla di avere un bravo bambino. Ma, comunque, niente avrebbe rimosso la gioia di un ennesimo pomeriggio d'estate passato a giocare con Miele. Lui, grande e grosso in confronto al mio metro e qualche centimetro, arrivava al mio ventre. Mi sembrava un gigante, anche se sapevo non lo fosse. I vicini avevano un cane bianco enorme e, con tutta la sua lanugine, sembrava un orso polare grande almeno il doppio del mio adorato compagno di giochi.
Vanesa, nata da pochi mesi, mostrava simpatia verso Miele, che era stato sempre affettuoso con la nuova arrivata: ovviamente sapevo di essere io il preferito, ma cercavo di non ingelosirmi quando il Labrador scodinzolava a mia sorella in cerca di affetto da parte sua. Molte volte lei lo adoperava come girello nel tentativo di muovere i primi passi. E Miele sembrava felice di assolvere a quel compito.

"Vieni, oggi nascondiamo questo" dicevo, sollevando in aria una foglia di un verde lucente, che avrebbe avuto l'onore di costituire il tesoro da dissotterrare un giorno, quando fossimo cresciuti. Io ero l'incaricato a scegliere l'oggetto da seppellire; Miele, invece, l'addetto agli scavi. Con le zampe graffiava nel terreno, formando qualche buca non molto profonda, ma sufficiente a camuffare qualche pietruzza, fiore o ramoscello che il sottoscritto decideva di riporvi all'interno. La mamma si arrabbiava molto quando, tornando dal lavoro, notava una nuova buca nel giardino che, in quel punto specifico, diventava abbastanza dissestato a causa dei nostri giochi. Non capii mai perché: d'altronde stavamo solo divertendoci. A distanza di tempo, capii che effettivamente il giardino aveva passato un periodo durato svariate settimane in cui era totalmente sottosopra. Papà aveva dovuto lavorare sodo per rimettere tutto a posto. E, alla fine, la zia era stata costretta a ubbidire alle regole di mamma: niente più giochi fuori dalla cameretta. Ma in un modo o nell'altro, qualche pasticcio era sempre il pane quotidiano.

Miele non era soltanto il mio compagno di giochi. Era sempre stato presente quando la mamma mi metteva in castigo. Nonostante nel corso del tempo avessi appreso a mantenere la calma e a essere una persona tranquilla, da bambino non si sarebbe lontanamente potuto dire lo stesso. Forse, a furia di sgridate e castighi, avevo imparato a essere meno irriverente. Questo non mi aveva mai impedito, però, di rimanere a fianco del mio amico in ogni situazione: dalla più noiosa alla più movimentata.

Miele era stato la mia consolazione nei momenti tristi. Ricordavo perfettamente un episodio in cui la mamma mi aveva impedito di partecipare a una gita scolastica perché avevo disubbito a una punizione già reiterata due o tre volte. Nonostante tenessi a quella gita, l'idea di non poter fare ciò che la mamma mi aveva impedito -giocare in giardino, guardare i cartoni e non sporcarmi giocando con Miele- era sicuramente una prospettiva peggiore. Anche fossi stato rimproverato, Miele mi faceva sentire al sicuro: avrebbe preso le mie difese, convincendo la mamma ad abolire quelle severissime regole. Di solito funzionava; con qualche leccata e un paio di espressioni carine la mamma avrebbe ceduto, complimentandosi con Miele per avere una bella faccia tosta, ma finendo per ammorbidirsi.

La distanza riunisce Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora