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Andrea

"Guarda dove metti i piedi". La voce di un ragazzo poco più piccolo di me mi distolse dai miei pensieri. Due occhi iracondi, di una tonalità indefinibile, forse giallo ambra, mi scrutarono. Le sopracciglia folte e corrugate sovrastanti quelle iridi sottolinevano l'insofferenza di quell'adolescente. I capelli, arruffati, erano tenuti abbastanza lunghi. Quasi facevano pandan con le iridi per il colore particolare. Al petto, una maglietta a maniche corte piuttosto stropicciata esibiva una scritta in inglese, coperta in parte dal disegno di una chitarra elettrica. Faceva molto metallaro. Effettivamente poteva essere che quel ragazzo fosse appassionato del genere: solo dopo un paio di secondi notai una custodia nera sulla spalla, che suggeriva il suo contenuto: la forma ricordava proprio quella di una chitarra.

"Che cazzo guardi?". La sua voce tornò a urtare le mie orecchie. Quella mattina mi sentivo particolarmente addormentato. L'avvertire la voce di qualcuno pronto a turbare la mia sonnolenza mi stava dando fastidio.
"Eh?". La prontezza dei miei riflessi si esibí malamente. Ma non avrei avuto voglia di litigare. Ero pronto a girare i tacchi.

"Che cos'hai da fissare?". A volte mi domandavo cosa portasse una persona a voler cercare grane in ogni occasione. Sapevo di non aver fatto niente a quel ragazzo che, valigia in mano, chitarra in spalla, aveva probabilmente dormito male la notte. Ma non era l'unico: se solo sapesse quante ore avessi passato io, la notte precedente, a pensare alla mia vita e alle scelte che l'avrebbero condizionata nell'immediato futuro e non solamente... Avevo un disperato bisogno di ritrovare me stesso, ma sembrava che più fossi andato alla ricerca di ciò, più la risposta si fosse allontanata. Sembrava di fare una caccia al tesoro. Peccato che fossi io l'artefice dello stesso gioco.

"Niente, stai calmo". Un ultimo sguardo e mi voltai, in direzione della mia meta, non distante da dove mi trovavo in quel momento. Il cielo, nuvoloso, preannunciava una generosa pioggia in mattinata. In lontananza, un lampo seguí un tuono non cosí rumoroso. Alzando gli occhi al cielo li dovetti riabbassare subito dopo. L'intensità della luce, nonostante il sole fosse coperto mi disturbava. Per un istante rimasi abbagliato: i raggi erano, tutto sommato, abbastanza forti.

Mossi qualche passo davanti a me, giusto per avvicinarmi alla caffetteria dalla quale un profumo intenso di cornetti e cappuccino inebriava i passanti che, volenti o nolenti, si voltavano spontaneamente indietro. Forse, l'intento era quello di verificare che quell'odore così gradevole venisse proprio dalle proprie spalle. Indecisi sul da farsi, un paio di loro avevano buttato un occhio all'orologio da polso per capire se avrebbero avuto il tempo per fare una capatina in quel bar dall'arredamento piacevole quanto i profumi che emanava. E, lasciatisi convincere dal sorriso di una cameriera dal rossetto acceso, avevano fatto il loro ingresso nel locale, dall'insegna in corsivo. Altri, invece, avevano dovuto rinunciare, forse in ritardo per il lavoro. Era prestissimo, a dire il vero. Guardai anche io l'orologio. Non quello al polso; ricordai solo dopo di stare indossandolo. Cosí, il mio sguardo cadde sullo schermo del telefono, finendo poi per essere attratto dalle notifiche di Instagram. Avevo bloccato l'accesso a Internet a Whatsapp: non avevo intenzione di rispondere ai sondaggi di Melissa&Co sui ragazzi che avevano fotografato di nascosto in centro al pomeriggio. Una cosa però mi sembrava assurda: riuscivano a fare delle foto pressoché perfette senza rischiare di farsi scoprire. Almeno, così sembrava, anche se il racconto di Anastasia, uscita con loro una volta, pareva evidenziare il contrario.

"E praticamente eravamo in via Po" iniziò il discorso, che si sarebbe protratto per svariati minuti.
"C'era un ragazzo davanti alla gelateria dove andiamo di solito, Melissa è stata la prima ad averlo notato. Effettivamente non so come noialtre avessimo fatto a non vederlo. Era un gran figo. Biondo, occhi chiari. Era pure un po' muscoloso. Sta di fatto che, mentre Melissa continuava a fissarlo allacciarsi le scarpe inchinato, noi tre ci siamo spostate per far passare sul marciapiede una signora con un passeggino enorme: aveva tre bambini piccolissimi, forse non tutti e tre gemelli, ma sicuramente due di loro lo erano". Anastasia adorava dilungarsi in descrizioni. Sicuramente più dei suoi ascoltatori.

La distanza riunisce Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora