Capitolo 30

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I giorni successivi furono un vero e proprio inferno, Jack e Connor mi stavano attaccati come delle sanguisughe e ogni volta che lasciavo anche una briciola veniva  comunicato a Rhett, l'unica nota positiva fu che iniziai a sentirmi più me stessa, più mangiato  e più la stanchezza se ne andava e non avevo nulla da ridire. Mi sarei messa da sola sotto stretta sorveglianza se me ne fossi accorta. Io e Rhett non ci vedevamo quasi mai, avevamo messo su una specie di guerra, ogni volta che ci incontravamo o ci ignoravamo o finivamo con il litigare.  Quelle erano le rare volte che lo vedevo. Dormiva  altrove. All'inizio mi ero infastidita poi avevo iniziato a ripetermi che era meglio così perché alla fine avrebbe fatto meno male. Le mie ricerche invece andavano di male in peggio. Se prima Jack mi stava lontano in biblioteca adesso si sedeva al mio fianco e non importava quanto mi fossi lamentata non si spostava. Così avevo iniziato a rimuginare su quello che già sapevo. Se Rhett non aveva nulla a che fare con la morte dei miei perché aveva quelle foto? Certo poteva entrare nel traffico quando voleva ma la presenza di Robert mi andava in confusione. Avevo bisogno di qualcuno all'interno soprattutto adesso che ero sorvegliata  a vista. In questo giorni avevo sviluppato una certa routine, mi svegliavo, facevo colazione sotto sorveglianza e poi vagavo  per le strade di Boston e bevevo del caffè  al solito bar. Avevo bisogno di un hobby, odiavo perdere tempo. Quest'oggi non si pianificava divertente. Erano ormai quattro gironi dall'ultima volta che avevo visto Rhett e ovviamente la nostra conversazione non era stata delle migliori. Trovai Jack davanti all'ascensore ad aspettare. Mi informò che come ogni mattina Connor era giù in macchina ad aspettarci. I due non erano male, quelle poche volte che li convincevo a farsi una risata erano uno spasso ma succedeva così raramente che quasi mi sembrava di essermeli  immaginati. Questa mattina esplorai  tutta Beacon Hill e poi mi fermai al mio solito caffè. Era un piccolo caffè ma accogliente, c'erano delle altalene che davano sulla strada da cui si intravedeva un parco di cui non ricordavo il nome e dei piccoli tavoli sparsi. "Salve un cappuccino e due caffè neri" Connor e Jack rifiutavano sempre quando chiedo loro cosa volessero ma avevo iniziato a portare loro due caffè ogni volta e vedevo sempre dei piccoli sorrisi sputare sotto le loro facce serie. Mi andava bene. Mentre aspettavo in fila cercai di rilassarmi, era una mattina di pioggia e Jack mi aspettavo davanti la porta, frequentavo cosi tanto il posto che ormai sapeva che non avrei potuto fare granché da sola dentro quel quattro mura.  La ragazza che lavorava dietro il bancone chiamò il mio nome io mi avvicinai. "Sei Mia? Mi chiese e io annuì. Lei mi pose i caffè e poi una busta. La guardai confusa pronta a  dirle che si fosse sbagliata . "Un suo amico è passato prima e mi ha chiesto di darle questo. Mi ha detto di dirle che lei voleva assolutamente leggerlo e dentro ci sono anche dei muffin" Detto questo si girò e  chiamò un altro nome. Un mio amico? Lancia uno sguardo a Jack davanti la portata, aveva sentito chiamare il mio nome, non potevo tardare tanto. Mi strinsi  la borsa al petto e uscii. Passai il caffè nero  a Jack e una volta entrata in macchina passai l'altro a Connor. Sentivo la busta bruciare tra le mie mani così mi costrinsi  ad aprirla e a tirare fuori il muffin di cui  mi aveva parlato. Scorsi una busta come quelle delle poste all'interno ma l'ignorai e afferrai il muffin al cioccolato. Lo offrì ai due uomini ma loro rifiutarono. Così mangia il muffin. Poteva essere avvelenato o cose così ma qualcosa mi diceva che potevo fidarmi. Mi costrinsi a passare la solita giornata e poi quando finalmente  arrivò l'ora tornammo a casa. Come sempre Rhett non c'era così mi diressi in camera nostra e mi chiusi  in bagno. Era l'unico luogo dove potevo stare da sola ma per non troppo tempo, ogni venti minuti Jack veniva a bussare alla mia porta. Afferrai la busta e tirai fuori i muffii rimasti e poi presi la busta. La scartai velocemente e caccia fuori il contenuto. Conteneva una marea di fogli. Iniziai a leggerli e quando compresi cosa avevo tra le mani rimasi esterrefatta.  Il mio respiro si fece più pesante mentre osservavo esterrefatta i fogli di carta tra le mie mani. Stringevo le prove che Robert Mendoz avesse fatto parte del traffico che i miei avevano smantellato. C'erano foto, ricevute e persiano la somma totale di tutto i soldi che aveva perso. Questi non erano contratti ufficiali ma una raccolta di ricerche di tanto tempo. Tra le mille pagine c'era una lista di nomi, nomi che ricordai di aver letto negli articoli di giornale che rivangano Rhett e Robert. Erano sei senza contare quello di Robert.  L'ultima foto ritraeva Robert con alcuni di quelli che pensai  fossero alcuni dei nomi della lista, erano in  un magazzino che sembrava  abbandonato e se la data era giusta era stata scattata tre giorni fa. Rilessi tutto un'ultima volta finché non incontrai una foto che mi fece gelare il sangue. Era una bambina rannicchiata e legata, sembrava distesa in una specie di furgone e Robert  e un altro uno che non conoscevo le stavano a fianco. La bambina aveva gli occhi che ritraevano la paura mentre quelli di Robert  erano l'incarnazione del male, fissai così a lungo la foto che quasi non mi accorsi  di aver iniziato a piangere finché dei singhiozzi riempirono  il bagno. I capelli scuri lunghi le ricadevano dovunque e la camicia di notte rosa leggera lasciava entrare l'aria  fredda della notte.   Mi portai una mano al petto e l'altra nei capelli facendo cadere la foto sul pavimento. La fissavo  e volevo che sparisse. La fissavo e qualcosa dentro di me si ruppe in mille pezzi. Volevo urlare  perché la bambina nella foto ero io. Quella foto ritraeva la notte nella quale mi avevano rapito.

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