Capitolo 2

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Mentre correvo tra i corridoi gelidi mi scontrai contro qualcosa di duro. Avevo tutta la faccia rigata dalle lacrime e volevo solo sprofondare nella disperazione, non mi serviva che qualcuno mi vedesse in questo stato. Mentre valutavo se fare finta di nulla e continuare per la mia strada, pensai chi potesse essere. Se fosse stata una delle guardie di Bradley sarei stata fottuta, mi odiavano, mi ritenevano il loro divertimento lavorativo. Quanto li avrei voluti strozzare, dal primo all'ultimo. Alzai lo sguardo infastidita ma non vidi nessuna guardia se non John.

Mi rilassai all'istante.

John era sulla sessantina anche se sembrava averne molto di meno e metteva una paura matta ma era l'unica cosa che mi era rimasta della mia famiglia originaria.

Sembrava uno di quei soliti vecchi burberi ma sapevo che nel profondo mi voleva bene, mi aveva seguita quando mi avevano portata via dalla mia famiglia fingendosi qualcun altro e aveva ingannato tutti per starmi al mio fianco. Gli sarei per sempre stata grata. Mi osservò silenziosamente con il suo solito sguardo calcolatore poi mi prese per il polso e mi tirò fino in camera mia chiudendo la porta alle nostre spalle. "Parla." Normalmente non piangevo mai, non piangevo da quando mi avevano portata via di casa ma adesso sentivo che tutte le speranze che avessi mai avuto mi fossero state strappate via.

"Mi darà in sposa. " Rilevai mentre mi asciugavo le lacrime.

"E quindi? Sapevi che sarebbe successo" John non era cattivo, almeno non con me ma era estremamente diretto e avevamo affrontato questo argomento per anni, quindi il fatto che stessi per diventare sposa non era una grande novità. È così che funziona nel mio mondo. "Tra tre mesi." Aggiunsi, lui si irrigidì ma non commentò, sapeva che se quel bastardo voleva sarei potuta diventare anche la sposa di qualche stronzo domani mattina o stanotte stessa. "Chi?" Domandò alla fine.

Feci una risata isterica e mi accasciai al pavimento. Come era possibile che la mia vita fosse un tale disastro?

"Rhett Ward." John trasalì come se fosse stato colpito da una frusta. Sapevo perché ebbe quella reazione. Rhett Ward era a capo della mafia di Boston, ed era l'uomo più crudele che io avessi  mai incontrato. Avevo sentito parecchie storie su di lui, era diventato capo un paio di anni fa quando il padre era stato ucciso, lui e il fratello minore, Dominic, erano i cazzo di re di questa città. Nulla succedeva senza che loro lo sapessero. Molti pensavano che Rhett non avesse sentimenti. Lo avevo visto in rare occasioni ma non avevamo mai parlato, faceva affari con Bradley e lo avevo visto a molti gala ma non avrei mai pensato che mi avesse mai notata. Certo lo avevo beccato molte volte a mandarmi delle occhiate ma sinceramente non ci avevo fatto caso, durante quei gala molta gente mi fissava, a lungo, tutti sapevano la mia storia o almeno una parte ed erano affascinati da me. Ero un caso da fenomeno da circo quindi non avrei mai pensato che lui sapesse neanche il mio nome e adesso diventerà mio marito.

"Sai questo che significa Mia?" Mi domandò John con la sua solito voce dura.

"Che la mia vita è finita." Dissi infilando le mani nei capelli.

"No che io non potrò venire con te. " Per la terza volta nel giro di neanche un'ora mi ghiacciai. Ero stata così presa dal deprimermi che non avevo pensato a tutte le conseguenze.

"No" mormorai mentre altre lacrime mi rigavano le guance "No ti prego " John mi aveva insegnato che non dovevo mai mostrate le mie debolezze ma  in quel momento  non riuscì a farne a meno.

"Ascolta Mia sopravviverai anche a questo ."

"No" dissi scuotendo la testa

John era l'unica cosa che mi fosse rimasta della mia famiglia, ogni sera da quando ero li mi raccontava qualcosa su di loro per non farmene dimenticare, era l'unica ragione oltre la mia sorellina per la quale non ero ancora impazzita.

"Mia devi ascoltarmi ci sono delle cose che non sai e che è arrivato il momento che tu ne venga a conoscenza, volevo darti altro tempo ma sembra che tu non ne abbia."

"Di che stai parlando?" Domandai mentre lui mi afferrava e mi portava nella sua stanza. Ci ero già stata innumerevoli volte, mi venivo a nascondere qui quando combiniamo uno dei miei casini ma non so perché in quale momento quella camera mi sembrò uno dei più grandi nemici.

"John che sta succedendo?" Mi fece sedere una vecchia sedia della scrivania mentre lui iniziava a rovesciare i contenuti dei cassetti. Trovò una specie di chiave e si allontanò andando a frugare sotto il letto. Io rimasi immobile mentre lui prendeva qualcosa da sotto una mattonella e si avvicinava a me. Era una busta gialla, quella che si usa per la posta. Afferrò uno sgabello dal fianco del letto e si sedette vicino a me. Fissavo quella busta come la mia acerrima nemica. "John ?" Lo chiamai di nuovo e finalmente lui si girò verso di me e mi guardò. Sembrava preoccupato ma estrasse lo stesso il contenuto della busta e me lo porse. Erano un mucchio di fogli con delle fotografie. Mi fece cenno di guardarle. Due uomini, entrambi bellissimi venivano ritratti in queste foto, sembrano fatte di sfuggita. Entrambi gli uomini erano accompagnati da due bellissime donne e in una foto si intravedeva anche un bambino. Non capii. Spostai la mia attenzione verso i fogli ma la maggior parte delle informazioni era oscurata. Poi trovai il mio certificato di nascita.

"Che significa tutto questo?" La mia famiglia era morta. Dopo che mi avevano portato via ciò che restava di essa cioè i miei due fratelli avevano fatto la stessa fine, avevano tentato di ritrovarmi fino alla morte, o almeno era questo quello che mi era stato riferito. Erano stati sparati entrambi sulla tempia mentre stavano torturando un tizio che affermava di avere informazioni su di me, erano disperati e non capirono che era una trappola. Mio"padre" era corso nella mia camera per mostrarmelo pochi mesi dopo che ero arrivata. Ricordo ogni minimo dettaglio, ricordo le foto del corpo con un foro al centro del cervello che mi tormentano ogni notte. "Li riconosci?" Mi indicò i due uomini nelle foto. Li osservai in silenzio. Entrambi sembrano emanare sicurezza e pericolo, mi mettevano in soggezione ma allo stesso tempo mi sembravano familiari.

"Dovrei?" chiesi sfiorando le loro figure raffigurate su quelle foto.

"Si Mia, dovresti, quei due uomini nelle foto sono i tuoi fratelli." John non aveva mai avuto molto tatto e la delicatezza non era mai stata nel suo vocabolario ma in quel momento avrei voluto che la conoscesse, anche un minimo. Pensai che stesse scherzando e pensai anche di dargli un pugno in faccia perché lo scherzo era di pessimo gusto. Ma John non scherzava mai, tanto meno sulla mia famiglia.

"No loro sono morti, ho visto le foto." Lo urlai. La mia vita era stata appena distrutta e questo, tutto questo non sarei riuscita a sopportarlo. Perché se era vero, io avevo sopportato quell'inferno per nulla.

"Hai visto solo quello che quel bastardo ti voleva far vedere Mia. I tuoi fratelli sono vivi."

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