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CAPITOLO VENTICINQUE
«Credo sia ora di cena»

"Scordatelo, Miso. Lavoro o meno, noi ce ne andremo subito da questo posto" Jaemin spalancò la porta della loro camera d'hotel condivisa, furioso, mentre in modo impacciato e frettoloso buttava i suoi vestiti all'interno della valigia, non curandosi di piegarli correttamente.

"Non posso, ho firmato un contratto. Tu và, non sei vincolato legalmente... non ho bisogno di un interprete tanto, visto che qua sembrano sapere il dialetto del sud meglio di me" sorrise. Il ragazzo si congelò sul posto, poi si voltò rapidamente, spaventandola leggermente.

"Non esiste, non ho intenzione di lasciarti qua, in questo posto di merda, da sola" parò, serio, con occhi di fuoco. Lei deglutì, intimidita.

"Non tornerò a Seoul, mettitelo in testa" ringhiò lei in risposta, fissandogli attentamente le iridi. "Aish, sei proprio testarda..." borbottò, sbuffando.

"Ti hanno ingannato, quell'uomo ti ha puntato una pistola alla testa, minacciandoti di ucciderti, ci hanno sequestrato i telefoni, e tu mi dici che vuoi rimanere?!" gridò nuovamente. "Devi essere davvero pazza" sospirò un sorriso amaro, quasi macabro.

"Senti, Miso, se lo fai per i soldi- insomma, so che sono tanti, ma te li darò io-"

"Non voglio soldi" sospirò a capo basso, interrompendo il maggiore che fu perplesso dal repentino cambio di tono. Un secondo prima la corvina gridava, mentre in quel momento si era fatta triste e silenziosa.

"Non ne ho bisogno... né dei loro... né tantomeno dei tuoi"

"Allora cosa c'è che non va, Miso, dimmelo, ti prego..." lui la incitò con un tono dolce, prendendole le mani e accarezzandogliele dolcemente.

"I-Io non posso tornare a Seoul" il labbro inferiore le tremava quando parlò. Una lacrima salata rigò una delle sue guance. "Non posso davvero farlo"

"Miso, che stai dicendo- i-io potrei aiutarti, se ti serve qualcosa, qualsiasi cosa la farò, basta che tu-"

"No, Jaemin" la minore tirò su con il naso, poi alzò lo sguardo, mostrando il suo volto bagnato dalle lacrime ed i suoi occhi rossi dal pianto. Il cuore del maggiore si strinse, dolorante. "Non si può fare nulla ormai" sospirò.

Miso si voltò verso la porta della camera, staccando le sue mani da quelle del moro: non aveva il coraggio di guardarlo negli occhi.

"Sono incinta" deglutì. Nonostante Jaemin conoscesse già questo dettaglio sentirlo dire dalla voce della ragazza lo stordì leggermente. "Di tre mesi e mezzo" continuò.

Lui non osò interromperla.

"Ancora non si vede molto, ma quando torneremo, fra un mese, il mio addome diventerà sempre più gonfio e prima o poi se ne accorgeranno" sentì nuovamente le lacrime cadere numerose: si vergognava.

"Chanyeol mi ucciderà, tutti lo faranno. Rovinerò la carriera a Jisung e-e io non posso permettere che accada... non sarò io a distruggergli quel sogno che sta realizzando" tremava, parlava piano per paura che la voce si incrinasse.

"Questo bambino... è solo uno sbaglio che abbiamo commesso la notte delle nozze di mio fratello" con un sospiro tremolante prese fiato, cercando pian piano le parole da utilizzare. Decise quindi di voltarsi e guardare l'amico negli occhi.

La sua espressione facciale era confusa, gli occhi lucidi, le labbra erano socchiuse. Jaemin era davvero un angelo.

"Eppure non posso liberarmene..." sorrise tristemente, poggiando una mano sul suo ventre, accarezzandolo. "Ho vent'anni, sono abbastanza matura da prendermi una responsabilità così grande..."

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