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CAPITOLO VENTISETTE
«Ho risolto il caso!»

Miso spalancò la porta della sala interrogatori con rabbia, sbattendola al muro. La potenza con cui l'aveva aperta la fece anche chiudere con un suono sordo e rumoroso.

Quella non era giornata; l'avvocato Ahn aveva testato la sua pazienza con quella frase e adesso lei non faceva altro che pensare alla vittoria di quella causa. Non gliel'avrebbe mai data vinta, avrebbe lottato con le unghie fino alla fine.

L'unico problema era che lui era in vantaggio. Miso aveva prove minime fra le mani, mentre lui, con quel testimone che avrebbe presentato in quindici giorni in aula, aveva letteralmente la vittoria servita su un piatto d'argento.

Questo pensiero la costrinse a stringere i pugni, alzando il suo sguardo di fuoco verso il suo cliente ed il sergente seduti davanti a Jaemin sul tavolo di alluminio. Lei sbuffò, poi sbatté le mani sul banco, attirando la loro attenzione, facendo sobbalzare il suo amico.

"Voglio sapere per quale diavolo di motivo quel ragazzo che afferma di essere tuo complice ha fatto un patto con il procuratore per la riduzione della pena?" domandò, serrando la mascella, guardando dritto negli occhi il ragazzino che deglutì spaventato.

Per la prima volta Miso fu capace di guardare meglio il volto di quel ragazzo dall'animo così innocente: dentro di sé qualcosa le diceva che lui era davvero così puro... lui non aveva ucciso nessuno.

Ma come avrebbe potuto provarlo?

Osservò come una piccola cicatrice proprio accanto al suo labbro inferiore spuntasse: non era un taglio semplice, somigliava un simbolo.

"Chi ti ha colpito?" domandò schietta. Lui seguì lo sguardo della donna che cadeva sulle sue labbra poi capì e deglutì nuovamente. "Nessuno"

Lei sapeva che mentiva, ma non avrebbe insistito. Infatti cambiò argomento.

Si calmò, decidendo di mettersi comoda a sedere. Jaemin quasi rise a quel suo improvviso cambiamento di umore. "I suoi compagni universitari affermano che lei sia omosessuale, signor Lee. Sbaglio?" il suo sguardo felino non si staccò nemmeno per un attimo da quello del ragazzo.

Il sergente inarcò il sopracciglio, ma il figlio non rispose. "Capisco che sia difficile per la società da accettare e le assicuro che posso capirlo. Tuttavia non sono qua per provare pena per lei, anzi la sto preparando alle domande che l'avvocato Ahn le porrà alla prossima udienza"

"Perché lei è accusato di aver stuprato ed ucciso un uomo, il suo essere omosessuale peserà sul giudizio della corte" Miso si pentì di essere stata così meschina con lui, ma doveva farlo confessare o l'avvocato misogino l'avrebbe solo ridicolizzata davanti a tutta la Corea del Nord.

"Scelga, signor Lee. Vuole che tutti sappiano del suo orientamento sessuale o preferisce evitare il processo e dire la verità al procuratore per una riduzione della pena?" domandò retoricamente.

La loro chiacchierata movimentata dal cattivo umore della donna fu interrotta da un uomo che entrò dalla porta, un segretario.

"Chiedo scusa per l'interruzione, ma un certo Park Changkyun richiede l'avvocato Park al telefono. Devo dire di richiamare? Sembrava piuttosto allarmato..." disse facendo inarcare un sopracciglio alla donna, seguita da Jaemin.

Questo credette che si trattasse del matrimonio, quindi deglutì.

"No, non c'è bisogno, ho concluso per oggi" disse lei, alzandosi e recuperando la sua borsa. Anche il moro la seguì. Prima di uscire lei si voltò verso il ragazzino. "Ci pensi su, signor Lee" suggerì con un occhiolino.

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