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CAPITOLO VENTINOVE
«Io sono qua, però»

La macchina che li aveva scortati all'aeroporto per Pyeongyang, adesso accompagnava Miso e Jaemin a Seoul, dove da lì avrebbero dovuto incamminarsi verso i dormitori. Lei si era appisolata quando lui fu costretto a svegliarla.

"Siamo a casa" sorrise, attendendo la ragazza che si stiracchiava dolcemente.

Il tassista ricevette i soldi dal ragazzo, poi li aiutò a recuperare i bagagli, salutandoli ed augurando loro buona fortuna nella vita. Ognuno dei due prese la propria valigia, poi Jaemin le circondò un braccio attorno alla vita, rassicurandola.

"Sei pronta?" domandò, riferendosi in particolare a parlare del feto con Jisung ed i suoi altri fratelli. Lei sospirò, poi respirò a piene narici quell'aria, a suo parere, così diversa.

"No, non lo sono" rispose dopo qualche attimo di riflessione. Jaemin comprese la sua ansia.

"Quindi non tornerai con me, non è così?" Miso scosse la testa. "Non adesso"

"E cosa farai?"

"Changkyun mi ha messaggiato qualche ora prima di partire dicendomi che avrebbe avuto bisogno di una backup dancer per i MAMA, che una delle ballerine aspetta un figlio e la scorta non era più disponibile" spiegò. Jaemin già conosceva il piano, ma doveva recitare la sua parte.

"Anche tu sei incinta, se non ricordo male" inarcò un sopracciglio. Lei sorrise, ma non dette la sua risposta.

"Tu hai ancora paura del pensiero di Chanyeol e di Jisung" constatò l'altro.

"Mettiti nei miei panni, Jaemin" questa volta il tono della bassina sembrò più serio, quasi severo. "Capisco quello che mi hai detto, che alla fine io sono il suo più grande sogno... tuttavia non posso parlargli di questo bambino"

"Mi restano meno di cinque mesi di tempo prima che il visto mi scada, ci vorrebbe un miracolo per farlo nascere prima, solo in quel modo prenderei la cittadinanza, ma purtroppo non tutte le cose belle finiscono bene" spiegò con gli occhi lucidi. Quello era un argomento toccante e delicato.

Jaemin stava per obiettare, ma fortunatamente l'arrivo di una chiamata lo trattenne. Avrebbe voluto gridarle di come il matrimonio le avrebbe garantito la cittadinanza che tanto aveva desiderato, ma fu Jeno al telefono il suo salvatore.

"Fa pure, rispondi. Io andrò da Changkyun, starò lì fino a dicembre... spero di vedervi agli awards" sorrise in modo triste. Quel saluto gli sembrò strano, ma lui annuì comunque, poi si divisero.

Lui rispose al telefono, mentre lei camminava nella direzione opposta. Cominciò a piovere, quindi Jaemin corse, mentre Miso si appartò in un locale, un bar, attendendo che il maltempo finisse.

Lei entrò in quell'ambiente così caldo ed ospitale. Respirò a piene narici quel dolce profumo di caffè, poi si diresse verso un tavolo vuoto, situato davanti alla finestra, quindi poggiò la valigia e si mise comoda, attendendo un cameriere che le avrebbe preso l'ordinazione.

Non tardò. Una donna vestita con una camicia bianca, dei pantaloni stretti neri ed un grembiule marrone le si presentò davanti. Aveva i capelli neri e lo sguardo puntato verso il blocchetto che teneva fra le mani. Miso era sbalordita.

"Haneul?" domandò con un sopracciglio inarcato, confusa. La donna alzò finalmente gli occhi, poi la sua espressione seria mutò in una di gioia. Entrambe sorrisero. "Miso!" la chiamò la cameriera con gli occhi lucidi per la felicità.

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