39.

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Emozioni arcigne mi infestavano lo stomaco, contorcendolo, rivoltandolo sottosopra, tirandolo a destra e a manca.
Paura.
Paura più di tutto.
Il suo rifiuto... di nuovo.
Il suo abbandono di nuovo. Mi spaventava a morte.
Dieci anni mi avevano fatto maturare e crescere eppure mi sentivo intrappolato nel docile corpo di un bambino che già sapeva cosa lo avrebbe aspettato. Che sapeva troppo... troppo bene cosa sarebbe accaduto e come avrebbe reagito.
Sembrava che qualcuno avesse premuto il tasto replay per rivedere la mia vita distruggersi.
La parte peggiore?
Non era il replay, stava succedendo di nuovo, identico a prima.

Mi batteva il cuore a rallentatore, i polmoni incanalavano e sputavano fuori aria con placidità. Il sangue scorreva grumoso e denso tra le vene. Persino i miei organi stavano cercando di fermare il tempo.

Mi assillava il panico.
Di nuovo. Mamma che piangeva e io che venivo divorato dall'abbandono.
Avevo cose belle nella vita. Si, avevo molte cose belle. Ma quest'unico aspetto devastante sembrava annullare tutto il resto.
Il resto. Il resto erano gli hyung, uno... per uno. Il resto era Valentina e i suoi capelli profumati. Il resto era mamma e gli occhi pieni di amore. Il resto erano le mani calde che mi stringevano e gli sguardi colorati e immensi.
Tuttavia, il grigiore sembrava spegnere e prevaricare... tutto.

Non era stato facile. Mai.
Avrei detto una bugia se avessi raccontato che scavalcare la rabbia e la solitudine fosse stato un gioco da ragazzi.
No.
Il dolore mi aveva schiacciato a terra come un fiore. Polverizzato come una foglia secca.
Ma avevo ripreso a vivere, piano. Delle dita delicate mi avevano raccolto dal ciglio sporco del marciapiede e piantato in un vaso nuovo, con della terra fertile. Mi avevano annaffiato, ogni giorno, facendomi ricrescere.
E nonostante ciò non avevo le armi per affrontarlo di nuovo. L'embrione da cui ero rinato era rimasto sgualcito e deformato. Per sempre. E ora l'incubo nero che mi inghiottiva stava premendo proprio lì.

Un sospiro muto mi perforò la gola. Strinsi la mia stessa gamba nella mano rigida. Un contatto morbido e soffice mi fece sussultare. Delle dita piccole e sottili si infiltrarono tra le mie, schiodandole dalla mia coscia. Mi circondarono lentamente il polso e lo tirarono verso di sé. Valentina si mosse piano, avvicinando la mia mano alla sua bocca. Ne baciò il dorso e dopo mi sorrise piano e splendidamente.
E lì, su quelle labbra piegate e in quegli occhi sconvolgentemente comprensivi c'era il mio posto confortevole... il mio posto nel mondo. Lei aveva profumo di casa. Le guance rosa e la sua dolcezza mi avvolsero come una coperta fatta su misura per me.

Sarei sopravvissuto, si. A ogni costo.
Il desiderio di una vita intera con lei era abnorme, fin troppo... per essere sconfitto dalla sofferenza.

Così, lento e inesorabile attaccai le labbra alle sue. Lei si raggomitolò attorno al mio braccio. E il mio cuore si raggomitolò su sé stesso, nascondendosi da quella furia bollente che l'avrebbe sciolto e fatto colare tra le ossa.

2 novembre. Sabato.

Oggi, era già sabato.

Per le ultime 72 ore circa ero rimasto in uno stato assente e distante. L'incapacità di affrontare questa situazione mi rendeva inerme.
Aspettavo. Non si sapeva bene cosa. Forse l'arrivo degli hyung o un miracolo dal cielo. Il campanello suonò rivelandomi la risposta. Non riuscì a muovere un dito così Valentina si alzò e aprì la porta. La casa si riempì subito di voci e poi uno per uno i visi familiari dei miei migliori amici apparvero più o meno radiosi di fronte a me.
Jin aveva uno zaino in spalla che stringeva con molta più energia del necessario. No, non solo Jin. Ognuno di loro aveva una borsa che abbracciava con forza. Mi salutarono mentre le mie sopracciglia si arcuavano.

«Che succede?»
No, non ci arrivavo...

«Come stai?» domandò Yoongi, lo guardai cauto e mi ripetei.

My roomie ಌ [J.Jk]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora