32.

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«Ciao mamma, dimmi»

Erano le 9 di mattina della terza domenica di ottobre, presto sarebbe finito questo mese infernale. Non vedevo l'ora, stava diventando insostenibile.
Era dalle prime luci dell'alba che combattevo con Valentina nel tentativo di calmarla da un altro incubo orrendo.
E ora avevo ricevuto una chiamata da mia mamma.

«Ciao tesoro, come stai?» ero sfinito, prostrato, Valentina mi stava svigorendo di ogni energia.

«Sono un po' stanco, tu?»

«Benissimo. Stamattina mi sono preparata una colazione che sembra un buffet. Valentina come sta?» socchiusi gli occhi, non aveva una domanda di riserva.

«Sta...»
Mi aveva accennato che le sembrava strana questa situazione, una ragazza così giovane sola in un paese straniero. Mi aveva raccomandato di prendermi cura di lei.

«Povera bambina...» mormorò con un tono sofferto «volete venire qui a mangiare?» spalancai le palpebre e trattenni il fiato.

E ora?

La ragazza quasi non toccava cibo e quando la forzavo vomitava anche ciò che in realtà non aveva nello stomaco.
Erano un paio di giorni che a scuola andavamo in motorino perché lei era troppo debole per fare tutta quella strada a piedi.
Non c'era bisogno di specificare che la mia preoccupazione fosse alle stelle.

«Aspetta un attimo» misi il muto e lasciai il telefono sul tavolo della cucina.

Camminai verso la ragazza raggomitolata sul divano, nella coperta grigia. Aveva gli occhi chiusi e un'espressione turbata sul volto pallido. La sua pelle bianca faceva contrasto con le borse viola sotto i suoi occhi. Faceva spavento. A scuola o per strada non c'era uno che non si fermasse a guardarla almeno per qualche secondo. Anche Min Ho aveva cambiato atteggiamento, non l'aveva più toccata o squadrata, anzi gli sguardi preoccupati che le lanciava mi avevano a dir poco sconvolto.

«Vale...» la chiamai accarezzandole delicatamente il volto. Utilizzavo grazia, premura, e apprensione in ogni cosa che le riguardava ormai.

Lei aprì gli occhi e alzò il mento di qualche centimetro. Erano gli occhi più vuoti e travagliati che avessi mai osservato. Non emise un suono, mi guardò solamente ma sembrava non vedermi neanche.

«Mia mamma ci ha invitati a mangiare»
La sua reazione fu alquanto prevedibile. Sgranò gli occhi e lasciò cadere la testa all'indietro.

«E ora?» mormorò tirando su la coperta fino al collo «Non voglio rifiutare»

«Non sarebbe peggio andare lì e vomitare?» lei mi guardò afflitta, implorò il mio aiuto con gli occhi.
Sospirò piano e ad un tratto delle lacrime scesero dai suoi occhi. Mi sedetti accigliato di fianco a lei.

«Piccola perché piangi?» le accarezzai il volto e mi avvicinai a lei.

Scosse la testa e abbassò lo sguardo come a dire che non lo sapeva. Le stavano succedendo una miriade di cose strane e io ero troppo in pensiero per restare calmo. Mi sembrava di avere tra le mani qualcosa di sconosciuto, appartenente a un altro universo. E questo qualcosa era ferito e sanguinava da settimane, ogni giorno che passava le sue condizioni peggioravano. E poi c'ero io, completamente estraneo e incapace di risolvere questa situazione. Mi dava totalmente sui nervi il fatto di non poterla tirare fuori.

«Io voglio andare» sussurrò lievemente.

Guardai quei due occhioni stremati e svuotati dalla voglia di vivere. Mi specchiai nelle sue iridi castane e quasi ebbi voglia di incorniciarle. Nonostante fossero gli occhi più tristi di sempre erano anche i più incantevoli e ammalianti che avessi mai visto.

My roomie ಌ [J.Jk]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora