12.

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Chi è che si permetteva di suonare così insistentemente il campanello di domenica mattina?

Mi ero svegliata.

Sollevai la testa infastidita. Mi grattai la fronte e mi pulì l'angolo dell'occhio con un'unghia. Mi misi a sedere e lasciai cadere la testa giù sulle gambe. Un altro suono, lungo, uguale ai tre precedenti e mi tirai su infuriata.
Acchiappai un paio di calze dal comodino e mi alzai dal letto.
Aprì la porta mentre finalmente sentivo la serratura che scattava. Jungkook era andato ad aprire. Era di fronte alla porta con i capelli sparati in direzioni diverse e gli occhi semichiusi ma infuocati.
Mi infilai le calze mentre dondolavo verso l'entrata. Avevo un ginocchio tirato su e un piede per aria con la calza storta quando la testa di un ragazzo sbucò oltre la porta.
Jungkook stava per rispedirlo fuori quando il cuore mi si fermò e il piede a rallentatore tornò sul pavimento.

«Non ci credo» mormorai mentre la voce familiare, ostinata fuori dalla porta diceva di conoscermi.

«Valentina!» esclamò Jungkook girandosi verso di me. Mi trovò ferma, sul ciglio delle labbra delle parole che non riuscivo a pronunciare. Imbambolata, sospesa tra il sogno e la realtà. Lo vidi adocchiare di nuovo l'estraneo fuori e poi guardare me, scostandosi.
Quello entrò e poi il mio mondo rovesciò dappertutto, inondandomi l'anima.

«Oh Dio» la voce mi si incrinò mentre mi chiudevo le mani sulla bocca.

«Ciao piccola» il suo italiano, il suo viso occidentale, il sorriso a scaldarmi gli occhi.
Non era possibile, ma mai l'avevo sognato così vivido. Era lì.

«Oh Dio» gli corsi incontro, un secondo e mi avviticchiai al suo collo. Il suo profumo di casa, la voce nelle mie orecchie. Dio.

«Luca-» i singhiozzi mi scuotevano il respiro e le parole.

«Mi sei mancata così tanto» mi strinse con una familiarità che fino a quel momento non avevo più ricordato. Mi incendiò di amore, mi ridipinse addosso il suo affetto. Credetti di scoppiare. In quelle settimane, mai mi ero resa conto di quanto mi fosse mancato. Ora, avevo ripreso a respirare.

Mi strinse di più la schiena e io strinsi di più le cosce.
Casa.

«Come... come sei arrivato qui?» chiesi trafelata.

Lui sospirò con un'emozione che mi si incastrò in gola. Strofinò la fronte sulla mia spalla e poi lentamente mi lasciò scendere. Io non pensai nemmeno di scollarmi dal suo corpo.
Alzai il mento e lo guardai finalmente negli occhi, quelle orbite che conoscevo a memoria, che mi avevano guardata ridere, piangere, crescere. Ero al sicuro.

«È il tuo ragazzo?» fu una voce bassa a interromperci. Mi riscossi da quello stato di pura gioia e voltai piano il capo verso destra. Lì c'era Jungkook, ancora fermo.

Stava studiando Luca con una meticolosità eccessiva. Quando guardò me mi sentì come incolpata di tradimento. Mi osservava e sembrava dirmi che avrei dovuto informarlo di una cosa del genere.

«È mio cugino» mormorai sorridendogli, vidi un bagliore nel suo sguardo che non riuscì a comprendere «Luca» dissi mentre guardavo il soggetto.
«Jungkook» dissi poi sporgendo una mano verso il moro «il mio coinquilino»

«È un piacere» disse Luca con un forte accento straniero, porse la mano e io ridacchiai.

«Sei peggiorato» gli dissi mentre Jungkook ricambiava la stretta e mi guardava disorientato.

«Senza di te non so più con chi esercitarmi» beh era vero, ero io che tenevo viva questa cosa. Non avevo mai smesso di prendere lezioni di coreano e non avevo mai smesso di insegnare a Luca ciò che imparavo. Ora che ero da sola, ora che era da solo, non aveva più motivi per continuare.

My roomie ಌ [J.Jk]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora