37.

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Non sono morta, anche se voi vorreste uccidermi. Prima di leggere questo capitolo vi consiglio di rivedere l'ultima parte di quello precedente.
Buona lettura...




Il profilo di quelle spalle larghe si stagliava in controluce di fronte a me, un giubbino grigio copriva il suo busto. L'ombra delle ciglia sugli zigomi e i capelli neri tenuti cortissimi. Un accenno di barba affiorava sul suo mento tondeggiante. I suoi occhi erano rimasti gli stessi, con quella luce particolare, motivante che io avevo sempre ammirato. Ma ora le sue iridi trapelavano di menzogne. Le mani nelle tasche, sembrava a suo agio. Quell'abitudine di tenere una gamba propesa in avanti stando in piedi era ancora accentuata.

L'ultima immagine che ricordavo di lui, lo ritraeva altissimo con le mani nascoste nei jeans e lo sguardo apatico. Ora sembrava più basso di me, più piccolo, più insignificante. Come un istinto primordiale, il mio corpo rimase fermo, mi tenevo lontano da lui come se fosse una piaga che avrebbe potuto squilibrare di nuovo il mio mondo. Ero confuso, sorpreso, arrabbiato ma sopratutto disgustato. Provavo un senso di disagio misto a terrore nel vedere in casa una figura che piano piano ero riuscito a dimenticare.

I primi tempi era stata dura non vederlo più sdraiato nel letto per il sonnellino pomeridiano, il posto a capotavola era rimasto vuoto e fuori da scuola non c'era più stata la sua macchina nera ad aspettarmi.
All'inizio era stata dura davvero. Lo vedevo in ogni angolo di casa e quando realizzavo che era una mia fantasia, le lacrime mi rigavano le guance. Ma poi avevo smesso, la rabbia nei suoi confronti era diventata così potente da cancellare la sua immagine.
E adesso, ritrovarmelo di fronte mi sembrava un'illusione.

C'era silenzio, io ero ancora sull'uscio della porta, con le braccia dritte lungo i fianchi. Mia mamma era rimasta aggrappata al divano e io non avevo scostato lo sguardo dagli occhi di lui. Anche lui mi fissava in silenzio, con uno sguardo intento a studiarmi. Probabilmente cercava di capire come fosse cresciuto il bambino che aveva mollato sul vialetto di casa. Dopo 10 anni potevo ancora percepire la tristezza e la delusione che avevo provato e mi sembrava surreale.
Non mi chiesi cosa ci facesse qui, non mi interessava e non speravo che rimanesse. Lo fissai con tutto il disprezzo che provavo per lui e piano piano le mie dita si chiusero a pugno.

«Ciao Jungkook» la sua voce era bassa e pacata e nonostante pensassi di averla obliterata, incappò in una familiarità fastidiosa. Il suono del mio nome modellato dalla sua bocca mi fece storcere impercettibilmente il naso.

«Sei cresciuto...» il suo tono si dipinse di una nota esclamativa e i suoi occhi si allargarono di sorpresa mentre mi squadrava dalla punta dei capelli fino ai piedi.
Quella frase di circostanza mi fece pulsare la carotide.

Mi sentivo disturbato, un malessere prepotente si era sprigionato dentro di me e mi stava riempendo. I suoi occhi si spostarono in più direzioni prima di tornare su di me, avvertivo il frenetico lavorare del suo cervello per formulare qualcosa da dirmi in una situazione così scomoda.
Io restai a scrutarlo nella speranza che si sciogliesse sotto il mio sguardo e che scivolasse nelle piastrelle del pavimento così da essere assorbito dal terreno.

«Uhm...» la sua voce si impastò ma con un colpo di tosse continuò «vieni... entra» mi fece cenno con la mano di raggiungerlo e ancora una volta sperai che prendesse fuoco e si polverizzasse.

Mi chinai con lentezza per raccogliere le chiavi, mi sollevai con la stessa calma e le infilai in tasca. Mi scostai di lato lasciando il passaggio del corridoio libero.

«Chiudi la port-» fermai la sua voce parlandogli sopra.

«Credo che tu debba uscire» fissai solo i suoi occhi e gli intimai di andarsene. Non avrei chiuso la porta così da farlo rimanere dentro.

My roomie ಌ [J.Jk]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora