Capitolo 28: Squame (Prima Parte)

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Accade normalmente, almeno una volta nella propria vita, di sentirsi fermo in punto imprecisato del proprio io consenziente. La naturale voglia di evolversi, di migliorare sé stessi verso il futuro si perde, lasciando spazio ad una sensazione statica di aria rarefatta senza calore e senza fascino. Nonostante ciò, quello che abbiamo intorno e che ci passa accanto ci impone ugualmente di andare avanti: come venir trascinato da una corrente lenta ma implacabile, che da l'impressione che non si sarebbe mai fermata; come passeggiando su una nave abbandonata, che continuava a dondolare in mezzo al mare mosso con il rumore delle onde alternato allo scricchiolio del legno e degli infissi metallici. In una quieta tempesta del genere non ci si muove in modo spedito: si fa qualche passetto titubante, tracciando linee dall'angolo incostante ed insicuro, le quali si incrociavano sempre come rette incidenti che lasciavano il proprio incontro alle proprie spalle, come se non fosse possibile stabilire il punto di intersezione in una meta precisa, ma lasciandolo sempre indietro in una coordinata precisa del tuo passato. 

Per una persona, questi scricchiolii di legno si intersecavano con il fruscio di un quieto laghetto al di fuori di Crillaropoli, ricolmo di ninfee bianche e fiori di loto, contornate da un rosa delicato portato dalle piante di Baccaliegia in fioritura. Il vento soffiava delicatamente su quelle piante portando con sé qualche petalo, profumando delicatamente l'aria serena di quel paesaggio dalla calma surreale. Il legno non si sentiva in modo deciso, ma piano piano ad intervalli più lunghi di quelli necessari per determinarne una malinconica camminata. Il motivo dietro a questo era una situazione che faceva parte del suo modo di essere, e della sua eleganza che lo contraddistingueva come il maggiordomo personale dell'ultima discendente dei Cour de Leon, una delle famiglie che aveva fondato il clan dei Mizukage. 

Mizukage Chevalier des Eaux Kyōha: (*) questo era il nome di colui che aveva servito la stirpe reale da quando aveva quindici anni, addestrato fin dalla sua infanzia solamente per questo obiettivo. Anche se all'apparenza appariva taciturno e sereno al punto da ispirare sicurezza, non era stato il miglior guerriero che la Guerra dei Sette Giorni aveva visto combattere: nei suoi vent'anni all'epoca, ancora inesperto aveva rischiato più volte di perdere la vita, guadagnandosi tre cicatrici sotto la folta peluria nel tentativo di lottare, rimaste anche dopo la sua evoluzione in un Ludicolo. La sua inettitudine in quella situazione lo spinsero a non ripetere gli errori del passato, impegnandosi a diventare un degno scudo anche durante il periodo di pace, in modo tale che in una situazione futura non avrebbe più permesso a nessuno di fare del male alle persone a lui care. 

Anche con questo impegno, però, era caduto una seconda volta undici anni fa, quando gli Shinikage avevano invaso la città di Albachiara, determinando la catastrofe e la caduta di uno dei grandi clan che aveva promesso di proteggere il bene e debellare il male. Stava camminando nel corridoio vicino alla sua stanza, preso da questi pensieri che ancora nel suo cuore erano simbolo di disfatta. Si passò la mano destra sotto la peluria pensieroso, scoprendo all'altezza del suo fianco sinistro una cicatrice viola dalla lunghezza di dieci centimetri. Nonostante avesse fallito, raccontando la sua esperienza nessuno dei suoi compaesani gli aveva dato del buono a nulla: nessuno di loro, dopotutto, era riuscito a fermare quel Froakie di soli otto anni esperto come un veterano, dalle tecniche subdole e dal sorriso allargato, reso ancora più inquietante dalle lacrime che scendevano dal suo viso. Inoltre, tra tutti i Mizukage sopravvissuti lui era quello che aveva combattuto più a lungo, e quello che aveva dato più filo da torcere al piccolo demonio, per poi finire sconfitto da una mossa sleale del Decidueye che era insieme a lui, piantandogli una freccia all'altezza del gomito per indebolire il suo attacco finale. Eppure, nonostante il grande valore e la posizione di svantaggio, egli si sentiva comunque come un cavaliere che aveva fallito nel proteggere la sua padrona. 

Dedicò dieci secondi a quella ferita e a quei pensieri di mesta disfatta e conferma del suo sentimento di inutilità, per poi chiudere gli occhi rassegnato e procedere oltre. Fece pochi passi in avanti, facendo sempre attenzione a non far scricchiolare troppo il legno della torre. Si fermò qualche metro prima della porta d'ingresso: i suoi occhi appesantiti dalla vecchiaia si posarono su una credenza cerulea da quattro cassetti sulla sua destra, ormai contenenti solo il ricordo di porta-gioie appartenenti alla sua famiglia e alla sua casata, visto che il resto erano diventati parte integrante del tesoro di Sobek nell'Antro della Belva. Il fatto di aver perso collane e gioielli, tuttavia, non tangeva più di tanto al fedele maggiordomo: quello che più gli importava era che ciò che fosse in quel momento sopra la credenza rimanesse intanto, dove i suoi occhi potesse vederlo e le sue mani potesse accarezzarlo. 

PSMD: le Cronache dell'Oricalco. Primo Intermezzo: la ballata delle Zanne Nere.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora