Capitolo 7

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Mi addormentai subito dopo aver studiato per il compito di latino del giorno dopo e mi svegliai la mattina dopo con indosso il pigiama e ancora quella felpa profumata. Sorrisi. Poi mi sentii stupida e misi il broncio.
Ero abbastanza preoccupata del fatto che Luca avesse raccontato qualcosa ai suoi amici e io sarei stata considerata una delle tante sciacquette di Luca da una botta e via. Mi sarei arrabbiata così tanto se tutto ciò fosse successo.
   Davanti a scuola non c'era quasi nessuno, quando arrivai e mi sedetti sul muretto che delimitava il giardino in esterno. Sperando che non arrivasse Luca in quel momento in cui non c'era nessuno, misi gli auricolari e feci partire la mia playlist preferita, che iniziava con Thinking out loud di Ed Sheeran.
Gli auricolari mi vennero strappati via a metà canzone e protestai imprecando.
-Adesso io e te chiariamo un po' di cose. - mi disse Martina, mentre tamburellava un piede a terra.
-Non ti seguo. - dissi seccata, mentre riprendevo i miei auricolari e li mettevo in tasca.
-Sabato sera.
-Si? - chiesi cauta, sapendo a cosa si riferisse. Mi ricordavo come avevo risposto alla mia amica prima di andare a casa con Luca, ma lo avevo fatto solo per l'alcool.
-Te ne sei andata con... - urlò sottovoce. -Luca!
-No... -scossi la testa, accigliandomi. Non ero molto brava a mentire.
-Oh, si, ti ho vista! Eravate mano nella mano e uscivate dal locale. Non mi hai ascoltato e sicuramente avrai fatto qualcosa di cui ora sei pentita!
A dire il vero pensavo di esserlo, ma in fin dei conti non lo ero: non ero più vergine, avevo visto il lato dolce di Luca e avevo anche conosciuto un bambino stupendo e adorabile che - solo per dettaglio - mi aveva vista nuda a letto con il fratello. Ma chissà quante ne aveva viste, povero!
-Calma. Non è successo niente di cui pentirmi. Mi ha riportato a casa e poi lui è tornato a casa sua.
Mi guardò scettica. -Non ti credo. Eravate troppo ubriachi per non aver fatto niente.
-Appunto, eravamo troppo ubriachi per fare qualcosa. Non devi preoccuparti di niente. -e con lo sguardo intravidi Luca avvicinarsi al cancello e andare verso il gruppetto dei suoi amici. -anche se ero sbronza non ho smesso di pensare che fosse un'idiota. - lei rise compiaciuta e io la seguii.
Accidenti, però, mi sarebbe piaciuto condividere con la mia migliore amica la mia prima volta... lei l'aveva già fatto un paio di volte con il suo ex fidanzato l'anno scorso. Nicola era un ragazzo sveglio e intelligente, ma purtroppo aveva anche un problema nel scendere la ragazza giusta, infatti per decidere ne ha tradite tre contemporaneamente, tra le quali Martina. Era stata così male quando aveva saputo che l'aveva tradita non con una, ma ben con due ragazze mentre si dimostrava così innamorato di lei quando erano insieme. Ma ormai si era ripresa e non ci pensava nemmeno più, anche perché lui si era diplomato ed era andato in un'università molto distante dal nostro paese.
-Ora ti riconosco. Non so neanche come ho fatto a pensare che tu avresti perso la tua sacrosanta verginità con un deficiente che è stato con metà scuola solo per una notte! - lei rise di nuovo e il mio sorriso vacillò. Una sola notte. Avevo perso la verginità con un deficiente. Si era fatto mezza scuola concedendo una sola notte a tutte le povere ragazze che avevano pensato di avere qualcosa di più.
Lanciai un'occhiata fugace nella sua direzione e lo vidi ridere con gli amici, augurandomi che non parlassero di me; ma se fosse stato così Gabriel gli avrebbe tirato un pugno e sarebbe venuto da me a chiedermi spiegazioni, tutto arrabbiato.
-Che succede? - mi chiese, probabilmente non vedendo più il mio sorriso.
-Che dovrebbe succedere?
-Sei diventata da allegra ad angosciata in un secondo...
Martina era fatta così. Si accorgeva sempre delle espressioni che avevano bisogno di conforto o di consigli. Non a caso aveva scelto quell'indirizzo: Scienze Umane. Il suo sogno era diventare una psicologa e aiutare le persone che avevano problemi più con sé stessi che con gli altri. Non era molto diversa da me, ma io ero un po' meno paziente ed ero ancora indecisa se continuare gli studi per Pedagogia (Scienze della formazione e dell'educazione), per fare la maestra d'asilo, oppure laurearmi in Psicologia infantile, per dedicarmi ai bambini e agli adolescenti.
-Stavo ripetendo la quarta declinazione. Non riesco mai a ricordare l'accusativo e mi confondo sempre tra il genitivo singolare e il nominativo plurale.
-Andrà bene, come sempre. Tutte le volte ti sembra di non ricordare, ma poi prendi il tuo consueto otto e mezzo. - gesticolò, mentre la campanella suonava.
-Sarà. - le feci cenno di entrare.
Vicino al cancello, mi fermai quando vidi Gabriel lasciare a metà il discorso e rivolgermi un sorriso a trentadue denti.
-Buongiorno, Bea. -mi salutò e io lo abbracciai, avendo bisogno di un profumo maschile diverso da quello delle due felpe che avevo a casa.
-Buongiorno, Grabri - gli lasciai un bacio veloce sulla guancia e feci un saluto generale al gruppo. Notai che Luca neanche guardava nella mia direzione. Bene, meglio.
-Ci vediamo in classe.
-Mi fai copiare in latino? - mi chiese Andrea.
-Solo se non ci fai beccare come la scorsa volta.
-Mettiti dietro e tienimi il posto.
Alzai gli occhi al cielo. -Non so nemmeno perché lo faccio.
-Perché mi vuoi bene e vuoi che non venga rimandato in latino. - mi attirò a sé e mi allacciò un braccio attorno alla vita.
-Giulia ti sta guardando, tesoro. - gli sussurrai alzandomi in punta. Giulia, la sua ragazza, era una studentessa modello, un po' asociale, ma molto simpatica, carina e dolce come un biscotto allo zucchero e cannella. Non meritava quel ragazzo, dopo l'ultima adozione in questa città e la separazione dalla sorellina, ma infondo Andrea sembrava renderla felice e quando era con lui era sempre allegra. E lui era innamorato. Si vedeva da come la guardava.
-La sto facendo ingelosire, tesoro. -mi sussurrò a sua volta.
Mi chiedo cosa pensassero i suoi amici, vedendoci così.
-Perché?
-Abbiamo litigato.- il suo sguardo si fece malinconico.
-Che cosa hai combinato?! - dissi, un po' troppo forte.
-Niente, giuro. È tornato il ragazzo con cui stava nell'altra città.
Mi staccai di colpo e incominciai a colpirlo sul braccio. -Che cazzo fai ancora qui? Vai da lei! Se stai qui a farla ingelosire è ovvio che tornerà con quel tipo! - sbottai.
-Ma...
-Niente "ma", vai e dille che vuoi stare con lei. - lo spinsi verso quella esile figura solitaria appoggiata al muretto, con un libro di fisica in mano.
-Mi farai copiare latino?
Alzai gli occhi al cielo. -Si.
Li osservai da lontano, mentre lui la salutava con le mani in tasca e lei aveva lo sguardo fisso sul libro.
-Ma perché non la bacia e la fanno finita?! - sbuffai.
-Forse perché non può risolvere tutto con un bacio. Dovranno prima chiarire. - rispose Gabriel ad una domanda che avevo fatto a me stessa. Ero veramente convinta che un bacio sincero poteva risolvere tutto, perché era la cosa più dolce che un ragazzo e una ragazza potessero fare.
-Speriamo chiariscano in fretta, allora.
-Cos'è tutta questa fretta? Hai voglia di vederli baciarsi come fanno di solito? - chiese Francesco.
-Già. - tenni lo sguardo fisso verso di loro. -Ho bisogno di vedere un po' di dolcezza per andare avanti tutte le mattine. - svelai il mio unico modo per essere così attiva, la mattina: vedere baci e carezze di coppie innamorate, perché io non potevo provare tutto ciò.
Scossi la testa velocemente per disincantarmi dai due ragazzi che stavano discutendo animatamente e spostai lo sguardo sul gruppo di ragazzi che mi stava fissando. Tutti tranne Luca, che guardava Andrea e Giulia.
-Che c'è? - chiesi, vedendo le loro facce basite.
-Se hai bisogno di qualche gesto di dolcezza ci siamo qui noi, eh! - rispose uno di loro.
-Se ha bisogno di dolcezza, al massimo, ci posso pensare io, tenete a bada gli ormoni. -disse Gabriel mettendomi un braccio attorno alle spalle e spingendomi verso l'entrata.
-Farai copiare anche me latino, vero? - mi chiese sorridendo.
Mi divincolai e aumentai il passo, anche se sapevo che scherzava. -Vaffanculo.
   Quando Luca passò vicino al mio banco per posizionarsi il quello dietro di me, non mi rivolse neppure uno sguardo e io feci altrettanto. Un profumo di muschio mi seguì per le prime due ore, in cui immaginai la sua felpa.
-La mia felpa. La rivoglio indietro. - mi sussurrò all'orecchio in tono freddo, come se avesse letto i miei pensieri, mentre la professoressa di matematica scriveva alla lavagna. Pregai che Martina, di fianco a me e Andrea, di fianco a lui, non avessero sentite.
-Quale delle due? -ghignai.
-Almeno l'ultima. - ringhiò, infastidito.
-Uhm... ci penserò.
-Me la ridarai.
-Se me lo chiedi in questo modo così gentile, allora interrompo la lezione e dico alla prof che devo andare immediatamente a casa per prendere una cosa importantissima di cui il signorino Mercuri non può fare a meno.
-Non ti chiederò per favore.
-E io non ti ridarò la felpa.
-Vaffanculo.
-Fottiti.
-Ieri mattina ci hai pensato tu. -era serio.
Mi girai di scatto e la sua testa colpì la mia fronte. Urlammo dal dolore.
-Ehi? Che succede laggiù? - chiese la professoressa, voltandosi verso la classe.
-Questa qui mi ha fatto male. -si lamentò Luca, massaggiandosi la fronte.
-Tu mi hai fatto male! Chi mi stava distraendo da questa interessante lezione?!- mi toccai la testa.
-Luca Mercuri, fuori dalla classe! E riceverà anche una nota per avere disturbato una sua compagna e la classe! - qualcuno rise e altri erano maledettamente seri, vedendo gli occhi sbarrati di Luca, colmi di rabbia e incredulità.
Mi puntò il dito contro, mentre mi passava di fianco. -Questa me la paghi. - disse furibondo e sbatté la porta dietro di sé.
Avrei dovuto sentirmi soddisfatta. Non lo ero. Mi aveva solamente chiesto di ridargli la sua felpa e io gli avevo fatto prendere una nota e l'avevo fatto sbattere fuori dalla porta. Che stronza che sono.
   Quando l'ora finì, Luca rientrò in classe e mi rivolse uno sguardo omicida, prima di rimettersi al suo posto e separare il banco da quello di Andrea, il quale si sistemò più vicino a me.
-Passami le frasi che ti chiedo quando faccio cadere la matita, per favore. - mi sussurrò. Almeno lui mi aveva chiesto per favore.
-Ok. Guai a te se fai casino. - gli puntai il dito contro e lui alzò le braccia in segno di resa.
La professoressa consegnò le venti frasi da tradurre e io le scrutai superficialmente per capire di cosa si trattava.
-Che cazzo è? Aramaico? - si lamentò Andrea.
-Conci, stia zitto e traduca. Se ha studiato capirà di cosa si tratta. - lo rimproverò la professoressa.
Dopo sedici frasi , Andrea sbatté pesantemente il piede a terra, ciò voleva dire che aveva bisogno di aiuto. Mi aveva chiesto la tre. Era ancora alla tre?! Mancavano solo dieci minuti. Gliele scrissi tutte e feci qualche errore di proposito per non far incutere sospetti alla prof. Gli passai il foglietto che avevo nel dizionario e lui mi ringraziò mimando, in tono supplichevole. Aveva la fronte sudata. Mi venne da ridere.
Il sorriso sparì quando un calcio non tanto delicato mi colpì la parte bassa della schiena. Mi girai di scatto. -Sei un idiota.
-Aiutami. - mimò.
-Col cazzo. - mi girai.
-La undici. - mi sussurrò all'orecchio. Un odore di menta mi pervase. Nel momento in cui era fuori forse si era lavato i denti o aveva mangiato una caramella, sicuramente. Cavolo, una serie di brividi mi pervase la colonna vertebrale e restai immobile.
-Bea? - la sua voce bassa mi riportò alla realtà.
-Chiedimi per favore.
-No.- perché non poteva essere gentile?
-Allora buona fortuna con la undici. - mi feci più avanti con la sedia e mi chinai sul tavolo per tradurre le quattro frasi che mi rimanevano.
Al momento della consegna, avevo appena finito di tradurre l'ultima frase e di scriverla sul foglietto indirizzato ad Andrea. Mi affrettai a raggiungere la cattedra con un sorriso soddisfatto, ma il sorriso svanì quando la prof scosse la testa con disprezzo. Quella lì mi odiava solo perché andavo bene nella sua materia.
Mentre tornavo al mio posto, per prendere la merenda, un piede mi intralciò il tragitto e andai a sbattere la pancia sullo spigolo del banco. Gemetti di dolore e quando alzai lo sguardo non fui sorpresa dal trovarmi davanti un Luca sorridente e stravaccato sulla sua sedia con la gamba stesa.
Mi guardai attorno studiando la situazione: le mie amiche erano andate in bagno; il gruppo di ragazzi era appena uscito e persino i due asociali della classe non c'erano; ma soprattutto la professoressa non era seduta alla cattedra.
Perfetto. Così avrei potuto massacrarlo.
Ancora con la mano sulla pancia, mi avventai su di lui che, preso alla sprovvista, non riuscì a difendersi quando incominciai a prendergli a pugni il petto. Si alzò e cacciò indietro la sedia.
-Che cazzo fai? - si stava trattenendo dal ridere.
-Mi hai fatto male, brutto stronzo che non sei altro! - continuai a sganciargli pugni sul petto -anche se lui non faceva una piega - fino a quando non mi afferrò i polsi per bloccarmi, ma la forza che avevo in quel momento non riuscì a bloccarmi. Cercai di divincolarmi e lui mi guardò con uno sguardo omicida.
-Mi stai scocciando.
Serrò la presa sui miei polsi e io lo trucidai con lo sguardo in attesa che mi lasciasse andare. Ma non lo fece. Invece, fece alcuni passi in avanti e mi sbatté contro il muro, lontano dalla porta, in modo che nessuno potesse vederci, passando per il corridoio. Ma perché ci dev'essere sempre un muro in questione?!
Quando mi intrappolò tra il suo corpo caldo e il muro freddo, un brivido mi salì, ma poi il mio orgoglio decise che non dovevo arrendermi e farmi sottomettere. Con tutta la forza che avevo, ricominciai a divincolarmi dalla stretta sui miei polsi e improvvisamente il suo sorriso era sparito.
-Che fai? - gli chiesi, quando si appoggiò al mio corpo.
-Sei eccitante quando sei arrabbiata. - ma non apparve il suo sorriso malizioso.
Avvicinò il viso al mio e i nasi si sfiorarono. Non mi diede il tempo di dire niente, che appoggiò le labbra sulle mie e io, colta alla sprovvista, mossi di nuovo i polsi, ma poi mi fermai, quando migliaia di brividi mi invasero e gli allacciai le mani al collo.
Non era un bacio casto, per niente. La sua lingua trovò la mia e io, travolta dal piacere, gli allacciai anche le gambe in vita. Con le mani mi accarezzò le cosce, mentre mi staccava dal muro. Barcollò un po', non sapendo dove andava, in quanto aveva gli occhi chiusi, poi si appoggiò al muro e scivolo a terra, mentre io ero a cavalcioni su di lui. Approfondii il bacio più di quanto non lo stessi già facendo e lui gemette. Sentii la pelle dei fianchi che lui aveva appena toccato infuocarsi.
-Potrebbero vederci. -sussurrai, non staccando nessun contatto.
-Non riesco a fermarmi. - gemette ancora.
Quando infilo una mano sotto la mia maglietta e mi sfiorò il reggiseno, baciando poi la scollatura della maglietta, non potei fare a meno di gemere e muovere i fianchi sui suoi, provocando ancora di più la sua erezione.
-Sta ferma, cazzo. - ansimò, mentre continuava ad esplorare la mia pancia. - non posso toglierti i vestiti qui.- mi tornò in mente il giorno prima e sorrisi, mentre mi lasciava una scia di baci lungo il collo; gli misi una mano tra i capelli e li tirai leggermente, fino a quando non tornò sulle mie labbra.
Cercavo di non muovere i fianchi, ma era praticamente impossibile, era istintivo. Non ce la feci più e portai una mano sul bottone dei suoi pantaloni e... la campanella suonò.
Ci staccammo velocemente e, ansimando, mi appoggiai al suo petto, cercando di riprendere fiato, far tornare i battiti del cuore regolari e, soprattutto farmi passare l'eccitazione.
Con un colpo di reni, si alzò con me ancora in braccio, senza sforzo. Ancora avvinghiata a lui, gli assestai un bacio a stampo sulle labbra, rimisi i piedi a terra e uscii dalla classe mentre tutti rientravano.
Avevo le guance a fuoco; avevo bisogno di rinfrescarmi un secondo e di pettinarmi.
Nel bagno c'erano ancora delle ragazze, in particolare le ragazze. Ci mancavano solo loro.
-Ciao, Beatrice. - Serena mi salutò con il suo tono da oca.
-Ciao, Serena. - ricambiai, mentre mi buttavo acqua sulla faccia.
-Tesoro mio, che cos'hai combinato ai capelli? - mi toccò le punte e io mi scansai. Le sue amiche, Bianca e Azzurra, risero acutamente dietro di lei. Se solo sapesse cos'avevo fatto con il "suo Luca", come lo chiamava lei. Perché quell'aggettivo possessivo le spettava se avevano fatto sesso un paio di volte in prima liceo e l'anno scorso. Cosa ci si può fare, le regole sono: la ragazza più bella della scuola con il ragazzo più bello della scuola, amen.
-Devo tornare in classe. - dissi sbuffando.
-Perché non usciamo dalla finestra e andiamo a prenderci un caffè?
-Noi due, un caffè?
Lei mi guardò da finta confusa. -Non ci trovo niente di male.
Incrociai le braccia al petto e mi indirizzai verso l'uscita, ma lei mi afferrò per un braccio e si fece seria.
-Ti ho vista la settimana scorsa con la felpa del mio Luca. - mi trucidò con lo sguardo. -Facevi tanto la preziosa perché non gliela volevi ridare. Strano, a me non ha chiesto di ridargliela, me l'ha regalata. - fece il labbruccio.
Risi di una risata amara. -E così tra stronzi vi scambiate i vestiti? - mi divincolai dalla presa con uno strattone e uscii in fretta per andare in classe.
Non mi preoccupai nemmeno di bussare, nonostante la lezione fosse iniziata da ormai dieci minuti. Quando aprii la porta la professoressa di inglese smise di spiegare e mi guardò.
-Alla buonora, Milani. Cos'hai fatto in bagno, hai scritto un tema?
-No, prof, si è data alla soddisfazione di sé stessa. - commentò Francesco, facendo ridere la classe.
Mentre passai per andare al mio posto, afferrai il suo diario e glielo lanciai con forza sul cavallo dei pantaloni, senza nemmeno guardarlo. Gridò per il dolore e per la sorpresa, ma io non sorrisi.
-Sempre aggressiva, eh. -la voce divertita di Luca aumentò la mia rabbia.
-Tu taci, che con te faccio i conti dopo. - ringhiai tra i denti, sedendomi e incrociando le braccia al petto.
L'ululato della classe venne ovattato dalla voce di Serena. "facevi tanto la preziosa", "a me non ha chiesto di ridargliela" , "me l'ha regalata".
-No, non può aver fatto niente in bagno, altrimenti sorriderebbe e regalerebbe fiori a tutti, non lancerebbe diari nelle palle. - riprese Francesco, con un'occhiata torvo.
Tutti risero di nuovo e io mi ero scocciata di stare al centro dell'attenzione. Sbuffai e abbandonai la testa fra le braccia, sul banco, in attesa che la lezione finisse.
-Milani, comunque ti metterò assente nella mia ora, anche perché è proprio quello che sembri. - la prof interruppe i miei pensieri sul come litigare con Luca.
-Come vuole.
-Da quando dai queste risposte? - il suo tono divenne incredulo.
-Sono stanca, ok? Non mi va di seguire la lezione e non la seguirò. Se vuole la prossima volta può interrogarmi.- sbuffai silenziosamente.
-No, ti metterò direttamente quattro!
Raddrizzai la schiena. -Come quattro? Ma non mi ha nemmeno fatto una domanda! - urlai con voce stridula.
-Mi hai risposto male!
-Ma mi metta un nota! Che cazzo mi mette quattro?! - gridai e mi tappai subito la bocca. Cazzo.
La prof mi guardò con occhi sgranati e la classe si zittì: la prof d'inglese non tollerava le parolacce di alcun genere e che le si dessero ordini.
-Mi scusi, non volevo... mi rimangio tutto... mi dispiace... scusi. -continuai così per cinque minuti abbondanti, ma lei continuò a fissarmi con occhi pieni di rabbia.
-Non puoi rimangiarti quello che hai detto! Ti metterò una nota che risentirà molto della tua condotta. - e abbassò gli occhi sul piccolo computer.
-La condotta? - sgranai gli occhi.
-E se non vuoi essere bocciata per la condotta, non aggiungere altro!
Mi assalirono i brividi e gli occhi mi divennero lucidi. Martina mi accarezzò il braccio. L'unica cosa che importava davvero era andare bene a scuola. Per papà...
Mi coprii gli occhi con le mani e aspettai che la lezione finisse. Ogni tanto un paio di dita mi accarezzavano "accidentalmente" la spalla e rabbrividii al contatto per la familiarità di quelle mani grandi e forti.
Mi lasciavo accarezzare, perché anche se ce l'avevo con lui -insomma, era colpa sua se ho risposto male alla professoressa! - non riuscivo a farne a meno: mi davano conforto.
Quando la lezione finì, rimasi ferma immobile al mio posto, in attesa dell'ultima ora, invece di usare il cellulare come al solito. Non ero proprio in vena.
    -Sei pallida. - Martina restò accanto a me, mentre uscivamo dal cancello della scuola.
-Voglio solo andare a casa. - sbuffai.
-Non è così grave, Bea.
-Mio padre voleva che andassi all'università, voleva che prendessi ottimi voti a scuola.- e solo a dire quelle ultime parole, mi vennero gli occhi lucidi.
Martina mi mise un braccio attorno alle spalle e mi strinse a sé. -E infatti prendi sempre dei bei voti. Questa è stata solo una piccola distrazione.
Annuii e prima di scoppiare a piangere, la salutai e andai dritta a casa.

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